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La figa e il glocal marketing a Cesena


Spot d’apertura del Chiosco Savelli a Cesena.

IMPATTO Idee alla rinfusa dopo un primo sguardo: dodici giorni di comunicazione – il Chiosco ha aperto sabato scorso -, spesa praticamente nulla, riprese non professionali, “arriva l’estate e non c’è mai un bar bello dove fare aperitivo” detto praticamente alle spalle del Cantera – sia in senso geografico che figurato -, una decina di secondi di troppo che però non si sentono, Tellerini e Planta – i due protagonisti – diventano glocal a tutti gli effetti e sfondano i 10mila come ancora non era capitato.
13 giorni, 20 commenti, 51 secondi, 111 condivisioni, 677 reazioni, 23mila visualizzazioni. Le mie tag mentali: Cesena, chiosco, barman professionisti, cocktail di qualità, un sacco di figa, piadina. Payoff: “Dove la città si incontra”. I motivi dell’incontro sono quelli di cui sopra. E, a scanso di equivoci, la prima parola scritta qui sopra è “Cesena”.
Cesena si incontra dove c’è Cesena: il primo tema. Cesena si incontra dove c’è professionalità: il secondo tema. Cesena si incontra dove c’è “un sacco di figa”: il terzo tema.

PRIMO TEMA Il primo tema è che Cesena tira dove Cesena tira. L’anti-tema è che quando Cesena decide che un posto non tira, il posto non tira. Una sola parola: Foro. Il Chiosco invece non si tocca. 642 reazioni e nessuna di rabbia. 81 condivisioni e quelle che dileggiano il non-contenuto sono di professionisti del settore della comunicazione digitale. Ma i professionisti del settore della comunicazione digitale non sono Cesena… anche se, come numeri, più o meno una città la si popola.
Il Chiosco non sarà mai messo in discussione perché non è mai stata messa in discussione la professionalità di chi lo gestisce, Trilogy Group: ecco il secondo tema.

SECONDO TEMA La professionalità della costruzione del packaging lo rende a prova di bomba. Tutti i prodotti Trilogy Group sono a prova di bomba. Incontestabili. Questo crea di rimando un senso di inevitabilità della presenza stessa di Trilogy in città, soprattutto quando si parla di possibili nuove attività o di cambi di gestione. Bar Roma: arriva Trilogy. Bar del Capitano: arriva Trilogy. Rocca Malatestiana: arriva Trilogy. Loggiato del Comune: arriva Trilogy. Vending machine del mio ufficio: arriva Trilogy. A ’sto punto più che Trilogy, potremmo parlare di Saga. 
Trilogy è già un content in sé
, con una sua forma, un suo metodo, un suo manuale d’uso. Per questo non ha bisogno di grandi campagne promozionali: dove c’è Trilogy ci si incontra, sicuri che non si rimarrà delusi, legati anche all’avatarizzazione di Trilogy, Christian Pagliarani. Anche perché, se dovessimo rimanere delusi, lo faremmo veramente sapere? Intendo fuori dalla cerchia dei delusi, ovviamente… Non credo. Cesena non è un paese per delusi. Per arrabbiati. Per critici – fino a che la critica è della maggioranza, identificabile a seconda del medium utilizzato per la critica -… per appassionati. Non per delusi. Ecco perché al Chiosco non servono contenuti: perché non ci sono delusi. Forse solo illusi: ma quando l’illusione raccoglie numeri diventa consenso.

TERZO TEMA E arriva il terzo tema: la figa, il non-contenuto per eccellenza. Non abbiate paura di pronunciare questa parola. “Figa”. Cazzo, “figa” è perfetta come parola. E poi “figa” lo avevano già sdoganato Simo Paglia e Bernardeschi con La Figa Lessa Standard di Cesena.
La figa è IL null real content: il contenuto reale nullo. Perché la figa c’è, ma non esiste. Molti di noi nemmeno l’hanno. Alcuni di noi nemmeno l’hanno vista. Io di sicuro non me la ricordo. Non possiamo comunicarla, soprattutto quando siamo una provincia dello Stato del Vaticano. Non possiamo quantificarla realmente: “Lì c’è più figa che qui”. Come si fa a stabilirlo? “Lei è più figa che l’altra”. Quali sono i criteri? La figa è un’ente inesistente. E anche se ci fosse, non sarebbe comprensibile. E anche se fosse comprensibile non sarebbe comunicabile: il presocratismo della figa è però stato spazzato via dai social… per quanto maldestro il tentativo di comunicazione, o volgare, o irrispettoso, sui social la figa sfonda.
Servono determinate condizioni perché sfondi senza essere sfondata: “ilcazzochemenefrega” del filosofo Rovazzi è la prima. E direi che basta quella, quantomeno a Cesena. Non importa che il contenuto sia sessista, inutile: il molto rumore per nulla è essenziale per un business plan ben riuscito, almeno da queste parti. E, curiosamente, è anche la principale conseguenza dei business plan non riusciti.
Soprattutto in centro storico.

LOCAL MKTG A CESENA Il local marketing di Trilogy Group funziona a Cesena per le caratteristiche stesse del tessuto sociale. Non servono contenuti, a Cesena… servono novità o sicure certezze. Il nuovo posto che apre è sempre il miglior posto, fino a che non si innesca il bisogno di routine e si finisce sulla certezza sicura. Ora piazza del Popolo tira, ma il vero banco di prova sarà la reazione estiva con il ritorno del Chiosco.
C’è chi dice che il video di cui qui sia la miglior pubblicità per i locali alternativi… io dico che quel video parla ad un pubblico che con quei locali c’entra, ma solo per vincoli di amicizia. Cesena è il Chiosco. Trasversale. Multi-generazionale. Socialmente aggregante. #ciaopoveri. Se non sei d’accordo sei invidioso.
Il video, di per sé, non sposterà una virgola gli atteggiamenti di consumo dei cesenati della movida, ma anzi li eradicherà: chi prima non andava al Chiosco – tipo me – continuerà a non andarci, forse con rinnovata soddisfazione, praticando con gusto l’arte discreta dello snobismo; chi prima lo frequentava non potrà che rifidelizzarsi con maggior vigore dopo una simile operazione.
Il vero bersaglio della campagna pubblicitaria è il pubblico entrante. I 100 giornini del Verdi, per intenderci. I neo-diciottenni. Quelli pronti per il primo mojito ufficiale. Quelli che dovranno decidere per la prima volta dove far nottata in estate: ecco, loro sono il target della comunicazione iniziale del Chiosco. E proprio chi opera in quel campo dovrà fare veramente i conti con questo contenuto.

Perché l’essenza del marketing digitale su Facebook non è la vendita dell’esperienza, ma la propagazione del contenuto.

CASE ANALYSIS Strumentazione video adeguata: fotocamera fullHD, microfono per esterni, regolazione a comando. Tellerini e Pianta, creator di videocontenuti di Cesena corteggiati da diverse realtà dell’intrattenimento locale, hanno numeri che girano sulle 3mila visualizzazioni, con picchi a 7-8mila. Hanno avuto il loro boom ad inizio 2016, poi i numeri sono andati in calando, fino a questa prestazione superlativa.
Non c’è nulla di casuale nel successo di questo video: Pagliarani non fa mai nulla a caso. Ha preso due producer senza paura di sputtanarsi perché forti di una fan base abbastanza solida e perfettamente in linea con il null real content, ha messo loro due brand in mano – Chiosco e Piadina del Chiosco -, e li ha messi a proprio agio sul loro medium: Facebook. E non YouTube.

Si caricano preferibilmente video su Facebook e non su YouTube quando fanno riferimento ad una comunità ristretta e fortemente tipizzata o localizzata o quando non si vuole perdere reach per eventuali contenuti embeddati.

Per Cesena cercare pubblicità alternative a Facebook sul digital è praticamente impossibile: anche su Instagram rispetto a riminesi e forlivesi siamo tra i sei mesi e l’anno di ritardo.
Non a caso i principali influencer in Romagna sono tutti in zona riminese, e quelli cesenati o hanno puntato altre aree – vedi Maria Vicini -, o sono ancora in erba – come Isabella Poggi – ed è comunque molto difficile trovarli fuori dall’ambiente food, salvo animali fantastici e dove trovarli come Fabrizio Faggiotto.
Certo, Tellerini e Pianta non sono degli influencer, e probabilmente hanno beneficiato più loro che Trilogy della prestazione video, ma il local marketing, per diventare glocal, dovrebbe puntare proprio su questo tipo di personaggi.
Perché, sì, la figa di qua e la figa di là, ma la figa non è il contenuto principale del video: il contenuto principale del video è il pubblico del Chiosco, perfettamente caratterizzato dai due creator. Il Chiosco ha messo al centro del messaggio il target stesso del messaggio. E questo diventerà uno dei trend della comunicazione glocale almeno fino a questo inverno: puntare sui ‘personaggi’ per veicolare un prodotto o un messaggio.

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Penso Pilates

Qualche mese fa ascolto Canyon Della Coscienza, Deserto Della Mente, Oasi Dell’Anima. È una canzone dei Ponzio Pilates. I Ponzio Pilates, che sono una mucchia di sbarbi strafatta di giandella bellariese: li ho incrociati al WAVE poco prima. Passavo, quella sera. Sentivo cose. Ho visto gente ballare. Non c’era criterio in quello che ascoltavo. È volato un: “Poveri stronzi” “Porelli” con annessa breve considerazione sulla sindrome San Carlo-Kelly – quella malattia che colpisce gli ascoltatori e che amplifica i loro feelz quando una band si muove bene sul palco, a prescindere dalle note suonate -, sono andato via: suoni sballati, abiduga-tour-ponzio-pilates-in-concerto_202576troppa gente sul palco per quello che veniva suonato, cantato autoreferenziale e ridicolo. Tanti errori, troppi errori. E l’odore della ganja nel 2016 è come la visione della mia faccia allo specchio: mi ha definitivamente stomacato.

Però, ecco, qualcosa mi gira in testa. Qualcosa che, zio ladro, ho già sentito. E non dai Calexico o dagli Os Mutantes – oh, fateci caso… il 90% di chi cita gli Os Mutantes ha ascoltato al massimo Bat Macuba, ma degli album non si ricorda mai un cazzo, perché semplicemente sono insfangabili se non hai fatto le orecchie ad altri suoni, e non basta Tropicalia di Beck o un best del periodo calypso di Quantic djset del sempre sul pezzo Flamingo -… no no. Mi ricordano dei suoni già sentiti… Forse è tutto nella mia testa, ma persiste, tanto che mentre torno a casa ripenso ad alcuni movimenti del tizio che suona uno strumento a corde: lui mi sa che è pure quello dei R-Amen, che erano quelli che stavano per essere scomu-NOIA; lei è la tizia dei Bomboloni, sono tutta gente con side 0007475482_10project che suona in continuazione e che dio mio, valesse qualcos-… Fermi tutti. Mi si illumina il mondo. Provo diverse accordature, le suono a casa. Ripenso a quello che faceva il tizio alla tastiera. Quello che a una certa si veste da fiore. Epperò se ti vesti da fiore ma non canti Supper’s Ready dei Genesis sei proprio un philcollins qualunque. Epperò no. No perché mi stanno girando in testa da troppo.
Quindi cerco roba su internet.
Ci metto un po’.
Non mi piace fare i complimenti agli sbarbi. Quindi ci metto volutamente un po’.

E, appunto, qualche mese fa ascolto Canyon Del Diobò e bla bla. Scrivono che sia un’improvvisazione a Bologna. Forse in via Goito? Forse passavo da lì? So chi ci abita da quelle parti, so fino a quando fingevamo che ci fosse qualcosa di diverso da mutuo soccorso, so che è possibile che io passassi da lì. E il risultato è che senza voce questi sono dei musicisti della Madonna. O della Maria. O della Marija.
Roba vera. Musica. Con criterio, anche in improvvisazione. Molte cose le riprendono in Nigolas, la penultima canzone del loro EP Abiduga, uscito lo scorso giugno, fortuna per loro. Solo che poi cantano. a0558862372_10E allora capisco: qua devo far finta che non cantino, sennò mentre loro scopanoladroga a me saleilBataclan. E se non penso al fatto che usino la voce per fare un passo successivo di nonsense che ancora non trovo ben sviluppato, perché anche il nonsense può acquisire un gusto pop rimanendo comunque per pochi, beh… Abiduga è un EP incredibile. Zampa è finita direttamente nella mia top ten estiva, con un retrogusto Budos Band quel tanto che basta per mantenere una chiara volontà di rimanere nel proprio, una eco da Tito & Tarantula e tutto quel synth che mi stura anche l’anima.

Io ora non voglio dire che questi siano la miglior band in circolazione. Ci stanno i 64 Slices Of American Cheese… i Pater Nembrot… i Morning… ma i Pilates, rispetto all’età che hanno, rischiano di dare il giro a tutti a livello di show, di creatività, di musicalità, di spingersi un passo oltre. Mi è sembrato di intravedere qualcosa di folle, meraviglioso, istintivo, marcio e drogatissimo che mi ha rimandato ai primi set dei Red Hot Chili Peppers o al cazzeggio dei Madness.
Tagliando le cazzate tardoadolescenziali, le battute chiusin chiusine e i riferimenti al gruppo di amici, il fatto che facciano presente ogni due per tre che si sballino come se avesse ancora un significato sociale che ormai se non tiri giù cani dai licei per questioni dispacciobbrutto non conti un cazzo, le grafiche vapor… beh, al netto del cazzeggio questi qui spaccano. E se inizieranno a guardare al di sopra della stagnola dell’eroina del rotolo di kebab, spaccheranno anche fuori dal sabbione del Beky dove si esibiranno stasera.

Che poi, faccio delle gran pugnette sui testi, e mi ritrovo a cantare Algeri in macchina…

© Gian Piero Travini

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Cesena Curcio Coscienza Parallela

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“Ha fatto quasi 30 anni di galera, è uno dei pochi ad aver pagato per ciò che ha fatto” (F. Biagioli su Renato Curcio, Il Resto del Carlino, 22/07/2016)

Questa sera, al circolo Arci Magazzino Parallelo di Cesena, Renato Curcio leggerà il libro che ha pubblicato nel 2015, L’impero virtuale sul tema della colonizzazione e del controllo digitale.
L’opinionista e digital influencer locale Fabrizio Faggiotto, dal gruppo La Cesena che vorremmo, si è interrogato questa mattina sulla “leggera inopportunità di tale iniziativa.

IPERREALTÀ DELLA NORMALITÀ
La dichiarazione di Francesco ‘Biagino’ Biagioli sulle motivazioni dell’invito a Curcio e la sua ‘difesa’ all’evento sono un autogol clamoroso mediatico e concettuale: aver fatto 24 anni di galera non dà diritto di parola. Non è un valore aggiunto. Essere un ESSERE UMANO dà diritto di parola, in un libero stato di diritto: semplicemente. Aver pagato per un reato commesso non eleva rispetto a chi non ha pagato, semplicemente riporta ad uno stato di normalità – purtroppo questo messaggio, nel Terzo mondo in cui viviamo, non passa, e spesso la “normalità” diviene “straordinarietà” e quindi 20150321184722!Curcio_processo copiaviene esaltata –, forse con un po’ di coscienza in più di se stessi, dato che si è vissuti forzosamente per anni filtrati da altri.

A questo punto si torna alla questione di merito dell’azione principale cui dovrebbe portare un sistema carcerario: non dovrebbe nobilitare, non dovrebbe ripulire, non dovrebbe punire. Non primariamente. Primariamente dovrebbe reinserirti nella società. Anche attraverso il castigo, è evidente.
Nel momento in cui viene scontata la pena, per quello che mi riguarda, si dovrebbe essere abili al reinserimento in società. Reinserimento che potrebbe prevedere anche una lezione sulla comunicazione digitale globale e i suoi pericoli. Dopotutto Curcio viene da quel campo di studi, peraltro in un’Università che era all’avanguardia in quel periodo: un concetto che ritornerà in seguito.
Detto questo, a domanda, rispondo.
Q: “Non vi sembra leggermente inopportuno?”.
A: “No”.

PERSONE v. CONTENUTI
Uno ha libertà di scelta: se è interessato ci va, se non è interessato – per qualsiasi motivo, fosse anche di pregiudiziale politica –, no.
Altra questione è un’analisi delle persone e delle ragioni che gravitano e decidono intorno alla realtà del Magazzino Parallelo… ma non credo dovrebbe essere una discrimine il processo alle intenzioni: non prima di aver valutato il prodotto. Fosse così dovrei togliere il saluto a chiunque collabori con realtà che non considero limpide rispetto alla mia considerazione. Ma il mio primo pensiero corre sempre ai contenuti prodotti.

Perché, in ultima battuta, è questo che bisognerebbe cercare: contenuti.
E penso che Curcio possa darne.
Scevro dalla sua storia umana e personale, che non mi affascina, non mi impressiona e, anzi, mi mette solo grande tristezza e pietà addosso pensando a Giralucci e Mazzola – rabbia no, credo si esaurisca proprio nel momento in cui si esaurisce il suo processo di riabilitazione, perché ho accetto lo stato di diritto, le sue regole e i suoi percorsi –, Curcio sa di cosa sta parlando, e lo dimostra da anni.

COMPROMESSI
Si sceglie se quel contenuto va preso, oppure no. Ma non credo se ne possa discutere la sua opportunità o meno. Non senza essere scesi a compromessi con la storia di quegli anni. Non senza aver cercato di capire il momento storico-politico e lo scenario e il tessuto sociale in cui Curcio si muoveva.
Francesco Cossiga nel ’91 aveva introdotto un dibattito importantissimo, come al solito con metodologie sbagliate e quindi svalutandolo, ma che è sempre stato il cardine della sua Presidenza: a un certo punto dobbiamo confrontarci con il nostro passato storico, politico e intellettuale e fronteggiarlo (e in tal senso sarebbe da rileggere la sua proposta di nuova Costituente, e proprio in questi giorni sensibili bisognerebbe riconsiderarne l’opportunità). Ora, lui proponeva la grazia per Curcio – peraltro con termini completamente extracostituzionali e seminando un casino politico incredibile come solo lui sapeva fare –, ma al di là dell’inopportunità – che è come tale perché si profila empirica andando contro la Costituzione, in quel caso, e per questo “inopportuna” quando proposta da un Presidente della Repubblica, giusto per riconsiderare i concetti di opportunità e inopportunità –, il problema posto rimane: fare pace con il nostro passato.

PASSO SUCCESSIVO
Poi mi guardo intorno. Chiudo gli occhi. Ascolto chi parla. Apro gli occhi. Chiudo le orecchie. Leggo chi scrive. Non voglio distrazioni.

“Curcio non pensava certo al terrorismo quando era qui. Perlomeno, non essendoci la telepatia, nessuno aveva modo di supporlo. Io poi non lo ricordo nemmeno” (F. Alberoni, La Repubblica, 28 aprile 1984)

E mi viene in mente il prof. Francesco Alberoni che sostiene da sempre di non essersi accorto del ’68 perché Curcio avrebbe avuto “una faccia iimage copia.jpgnterna che mostrava il meno possibile”, dunque difficilmente intelleggibile durante gli anni del suo rettorato a Trento. Questo mentre il ragazzo sgambettava i professori dalle scale e appendeva striscioni in facoltà sulla S O C I O L O G I A un anno prima che lui arrivasse a
governarla. Evidentemente Alberoni non era al corrente dei gruppi di studio di Università Negativa dove si studiava il marxismo di Raniero Panzieri e tante altre cose che, ora, definiremmo indie.
Ecco. Io ho sempre pensato questa cosa.“Delle due, l’una” [cit.]: o Alberoni è stato molto distratto, o abbiamo una dissennata tendenza a farci prendere in giro.

Distinguiamo i nemici, forse.
E non ce ne dimentichiamo, senza dubbio.
Forse sarebbe ora di imparare a riconoscere i falsi amici.

© Gian Piero Travini

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QUESTO MIO CUORE

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“Che succede, nonno? Perché piangi?”.
“Non mi ricordo più dove abito”.
“Ma và, và. Adesso ci mettiamo tranquilli e troviamo dove abiti, va bene?”.
“Ma te sei quello del calcio? Quello della Buonanotte? Ma dove sei finito?”.
“Sai nonno che certe cose non me le ricordo nemmeno io?”.

Sant’Egidio non è Bruxelles. Non è Roma. Non è Cesena. Sant’Egidio non è nemmeno il Granducato di Case Frini. Sant’Egidio è una succursale delle Vigne, costruita su terreni coltivabili di un pugno di proprietari terrieri che poi si sono fatti costruire strade e servizi dal Comune di Cesena. Sant’Egidio è meno che un quartiere e più di un vicinato. A Sant’Egidio di notte senti amplificato come se fosse sotto casa tua il karaoke notturno del Megusta, là dalle concessionarie. A Sant’Egidio c’è il figlio della sarta che torna a casa cantando al mattino, brillo… gli dici che hai sonno, dall’altra parte della strada e lui si scusa pure. E ti dice che ha bevuto un po’ ma che è contento. E tu gli vorresti dire che hai bevuto anche tu, ma che non sei contento niente niente, ma fare terapia quando lui ha ancora una Moretti da .66 in mano non è proprio l’ideale.

Non si decide il destino del mondo, a Sant’Egidio. Non esplodono bombe. Non ci sono camion che passano sulla folla. No.
A Sant’Egidio un nonno si perde, tu lo aiuti a ritrovare la strada, e lui ti fa pure la pugnetta che non scrivi più. Non passano camion, quindi tocca portarlo a casa. Incontro sua figlia… Dice che scappa sempre, abita poco lontano. È un camminatore, non vuol fermarsi. Non sembra riconoscermi, quando si allontana.

È Sant’Egidio, me ne rendo conto.
Lei è a Bruxelles a fare cose meravigliose, io raccatto vecchi tifosi del Cesena per strada perché chi li bada non chiude il cancello.
A Nizza uno stordito gioca a Carmaggedon in versione inshallah, qui tolgono i lecci davanti alle biblioteche.
In Europa si corre il rischio, ogni istante, di una deriva fascistoide del tessuto sociale di maggioranza, e a Cesena si fa muro contro muro tra ragazzi per un tizio che legge Manzoni.

Sono miserie diverse, lo so.
Ma sono anche nobiltà diverse.
E lo capisco che dovrei provare cordoglio per tutti i morti di tutte le stragi. Di tutto il mondo.
Ma non ci riesco.
Questo mio cuore è troppo piccolo per sentire tutto.
Questi miei occhi sono troppo distratti per vedere tutto.
Questo mio fegato è troppo gonfio per stare in mezzo a tutto.
Lascio il mondo intero a chi ha scelto di difenderlo. Di combatterlo. Di governarlo. Di salvarlo.
Lascio il mondo intero agli altri e mi tengo Sant’Egidio. E i nonni che si perdono in via Madonna dello Schioppo.
Lo so, è poco. Ma questo è quello che riesco a fare.
Mi posso curare solo di poche cose alla volta. Troppo poche. Ma lo faccio fino in fondo. Sempre.

Sarei una persona più bella se potessi commuovermi per i più di 300 a Baghdad la scorsa settimana. Sarei incredibilmente social se manifestassi il dolore per quello che è successo ieri a Nizza.
Ma la verità è che non sono una bella persona. La verità è che non posso farmi investire da quello che è diventato new normal.
La verità è che qualcuno deve guardare anche in mezzo a via Madonna dello Schioppo, mentre tutti gli altri piangono per il mondo.
Io posso fare la differenza solo in via Madonna dello Schioppo. Non sono buono a fare altro. A volte mi sento un pezzo di merda inetto, è vero.
Lo so da solo. Non c’è bisogno di leggerlo il giorno dopo ogni strage. “Ai morti in °paese a caso parecchio lontano dall’Italia° non ci avete pensato l’altro giorno: ipocriti”.

Io non lo so se sono ipocrita.
So che certe volte non sono proprio in grado di affrontare il male. E piuttosto ci faccio un commento cinico sopra.
Devo pur difendermi anche io dal male…
Questo mio cuore è troppo piccolo anche per quello, forse.

© Gian Piero Travini

La foto è un estratto di un lavoro di Francesco Menicucci, un caro amico che scatta a Milano

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MICHIELIN DA SOLD OUT AL VIDIA

Francesca-Michielin copiaIl Nice To Meet You Tour di Francesca Michielin sbarca a Cesena venerdì 25 marzo al Vidia Rock Club, nel momento migliore per la cantante. Negli ultimi dodici mesi la giovane artista di Bassano del Grappa, vincitrice della quinta edizione di X-Factor nell’ormai lontano 2011 (la prima targata Sky), ha ottenuto numerosi traguardi: L’Amore Esiste è stato per mesi tra i singoli più trasmessi in radio, le successive Lontano e Battito Di Ciglia sono piaciute moltissimo sia alla critica che al pubblico, il tour acustico seguito all’uscita del suo secondo album ‘#di20’ è stato un successo e il secondo posto all’ultimo Festival di Sanremo con Nessun Grado di Separazione è stata la ciliegina finale di un anno pieno di soddisfazioni.

LE SCOMMESSE DEL VIDIA
Questa seconda parte del Nice To Meet You Tour, cominciata il 12 marzo a Roncade, sta facendo registrare il sold out in tutti i suoi appuntamenti: difficilmente il Vidia non risponderà a questo appello, collezionando il quinto pieno stagionale dopo Vinicio Capossela, la doppia dei Negrita e Michele Bravi, attendendo la data zero di Malika Ayane, altro tutto esaurito, e la vera scommessa Salmo. Insomma, è caccia ai biglietti per Michielin.

LA SCALETTAUnknown
Battito Di Ciglia
Io Sono Con Te
Distratto
Tutto Questo Vento
Be My Husband (cover di Nina Simone)
Un Cuore In Due
Honey Sun
Wonderwall (cover degli Oasis)
L’Amore Esiste
Tanto3 (cover di Jovanotti)
(Tutto È) Magnifico
Nice To Meet You
Summertime Sadness (cover di Lana Del Rey)
Lontano
Nessun Grado Di Separazione
Va notato che nella setlist manca I Wonder About You, versione originale di Distratto, il pezzo che Elisa le aveva scritto come inedito per X-Factor, presente invece nella prima parte del tour, quella dello scorso autunno. Speriamo comunque di poterla sentire anche qui a Cesena, magari in un bis fuori programma.

EUROVISION SONG CONTEST
Al termine del tour per Michielin comincerà un altro periodo alquanto intenso che la vedrà impegnata come rappresentante italiana all’Eurovision Song Contest di Stoccolma il 14 maggio, dove riproporrà una versione riveduta e corretta del suo pezzo sanremese, intitolata No Degree Of Separation, con versi in italiano e ritornello in inglese. Prima dell’Eurovision Francesca sarà impegnata il 17 aprile al London Eurovision Party, concerto londinese che la vedrà partecipare assieme ad altri artisti europei, tutti candidati come lei alla vittoria del più importante evento canoro continentale. La Michielin è la seconda artista italiana ad essere invitata a questa venue, dopo Raphael Gualazzi nel 2011.

INTERPOP
La sua scelta di legarsi ai trend del pop internazionale (Lontano e Battito Di Ciglia ricordano moltissimo lo stile dell’artista neozelandese Lorde, quella di Royals) e di allontanarsi dalla tradizionale musica leggera italiana – a differenza di buona parte delle artiste come lei uscite dai talent show –, la rendono abbastanza unica nel panorama canoro italiano, interessante anche per chi non ha mai potuto soffrire le varie Emma, Annalisa, Chiara e compagnia bella.

© Fabio Cristi

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IL PAVONE REALE

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64 Slices Of American Cheese | Il Pavone Reale
Go Down Records/Goodfellas, 2016

#inunaparola: Polymoogoso

Io non so cosa succede mentre ascolto questo album, ma so che attorno a 2.32 di Theo Dei 64
… no. Dall’inizio.
Il nuovo dei 64 Slices Of American Cheese da Cesena, che da ora in poi chiamerò 64SOAC, parte con 1’55” di saw. Non l’Enigmista. No. Di onda a dente di sega. Come se fosse la Sigla di OK. Non Computer, ma Il Prezzo È Giusto. Insomma, per una volta non sono soldi buttati nel cesso. I vostri: l’ultimo CD che ho comprato inedito è stato ‘The Power To Believe’ dei King Crimson.Senza titolo-2.jpg

Il Pavone Reale. Non so perché. Non credo di volerlo chiedere a Filippo Bianchi. Non vorrei che poi volesse comprarmi la mia Parker. E poi la rivendesse su Mercatino Musicale punto com. Non vorrei.
Ma. Glielo chiedo. Dice che me lo vuole dire di persona sabato al Sidro. Perché sabato suonano al Sidro. Sabato. Al Sidro. Poi mi viene incontro pietoso perché sa che il sabato io vivo solo per il Cesena e le conseguenze del Cesena nella mia vita e mi manda questa foto qua a fianco. “Questo è il pavone reale” mi dice. Intanto il Cesena ha perso contro il Lanciano. E penso alle mie conseguenze nella vita e alle sue. E improvvisamente mi sento meno solo.

Ricordo ‘S/t’, il loro precedente e primo album. Non chiedete quando è uscito: cercatelo, fate il conto degli anni e poi chiedetevi perché io mi senta schifosamente vecchio.

Hanno messo Piedons Mmmigo dove riprendono la vena folk romagnola – prego, inserire solito riferimento qualsiasi ai Mazapegul –  alla 3 (per la 2 bisogna aspettare la fine della rece), ma poi hanno sovrastato il tutto con distorsioni e sinth tamarro, zittendo tutto con finale da balera triste clarinettato, di quelli che nemmeno la cinquantenne imparruccata del Kursaal Lido te la dà, e poi parte New York New York. Ah, a proposito di tamarri… in ‘S/t’ si chiamavano The 64SOAC… con la “The”. Loro fanno finta che uno non se ne ricordi di quanto erano sfigatissimi con la “The”, ma io ricordo. Thericordo. Thegiornalista.

Poi c’è Balboa, che è un riassunto dell’album, e una tipica canzone alla 64SOAC, senza “The”: dentro ci trovi tutte le loro anime, anche quella indie, che per dieci-venti secondi mi fa venir voglia di darmi fuoco all’anima, ma attorno ai 2’58” si trasformano nei primissimi Mars Volta per circa mezzo minuto ed ecco che mi chiedo che cosa succederebbe se facessero solo musica così prima di depredare nuovamente la noia dei Mogwai. Che è chiaro che lo fanno anche per le fighe depresse, ma anche no, su.

La 5 è l’omaggio ai Calibro 35 che non manca mai: L’Oliva Taggiasca, che non è il pezzo più brillanti della cosa, ma sicuramente è quello che piacerà di più. La spiegazione è la subordinata della frase precedente. Poi improvvisamente ho una allucinazione retroattiva. Ritorno attorno al 20” della canzone. Star Wars – Main Title di John Williams che chiude in minore. Nerd scoppiati…

Olimpiadi è quella veloce con il richiamino oldie e il finale alla Morphine tanto che pure all’inizio di Oooh Gradari gioca a far finta di essere Dana Colley col sax, con risultati sorprendenti.

Con Terminator si ritorna al post rock, con la own version del tema del film di James Cameron: qui io ho poco da dire, se non che se avessero cassato tutti i primi 4′ di canzone avrebbero cavato fuori con quel giro di arpeggiatore in valzerino veloce un vero gioiellino, con richiamo finale al sequel, tanto per non perdere il contatto con la passione per le colonne sonore.

Sigla, ancora, è la degna chiosa di un album assurdo per i suoni e le strumentazioni utilizzate, che suona inizialmente come se fosse un sogno bagnato dei Van Halen, passa per le buratelle romagnole e punta hard un po’ quanto pare a lui, con spruzzate di canadese depresso che sennò mica ce li vogliono al Bronson o giù di lì.

E si torna alla 2. Theo Dei 64. Parte che sembra una roba da Zen Circus, ma c’è tutto quel polymoog che è praticamente una barzelletta… una barzelletta di quelle raccontate tutti insieme, in compagnia, mentre si cresce e si cerca di non perdersi di vista. Ma questo succede. E mentre la batteria dietro continua più indiependente che mai, a 2’08” Bianchi compie il miracolo e azzecca il miglior bridge di chitarra che io abbia mai sentito tra Cesena e dintorni, che mi riporta ai film di John Hughes, ai miei anni ’90 che però erano molto so 80’s… con i Goonies, con i film di Matthew Broderick, con Stand By Me – Ricordo Di Un’Estate… con qualcosa che non ritornerà più e che mi fa scendere una lacrima nostaglica che capita solo con Kappler degli Offlaga Disco Pax. Theo Dei 64 parla di Commodore mentre LOADING e aspettiamo di poter scrivere RUN, parla di quello che ho vissuto quando le cose erano molto più semplici, di quando mi sentivo protetto, di quando essere solo non importava perché avevo tutti i Fantastici 4 di Byrne da scoprire. Theo Dei 64 è la canzone di un’infanzia che era mia solo perché mio fratello maggiore che la pilotava con Ladyhawke. E a 2’32” posso anche provare a trattenermi ma non ce la faccio, perché il muro che è riuscito a costruire sotto, semplice ed armonico mi travolge completamente.
E prego che sia così ogni volta che la ascolterò.

Ho receraccontato Il Pavone Reale, dei 64 Slices Of American Cheese.

© Gian Piero Travini

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ROCKESTRA IN’ 1000

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Orchestra di 1000 elementi all’Orogel Stadium-Dino Manuzzi e band disposte a suonare con loro: la serata di musica perfetta a Cesena, impossibile da concepire fino allo scorso novembre sta per arrivare in città, il prossimo luglio.
Ovviamente opera di Fabio Zaffagnini e del suo staff di Rockin’ 1000: quello del front office e quello del back office.

FULL ROCK ALCHEMIST
Fabio Zaffagnini è il nuovo alchimista: la pietra filosofale del Rockin’ 1000 trasforma in oro tutto ciò che tocca. Talk da 30 dollari a seat in Usa, interventi da 100 euro a poltroncina in Italia, fisso ai TEDx, un algoritmo su YouTube che a quasi 30 milioni di visualizzazioni dovrebbe restituire circa 210mila euro lordi di ritorno pubblicitario – grosso modo 7 euro ogni 1000 visualizzazioni –… riesce pure a farsi dare l’Orogel Stadium-Dino Manuzzi per organizzare un evento musicale.
‘Fabiulos’ quando lo scorso luglio ha finalizzato con il Rockin’1000 al Parco Ippodromo il lavoro di un anno di public relations tra Milano e Roma, implementandolo poi con la comunicazione online densa di romanticismo, colpendo la band giusta e ‘forzandola’ nella maniera più immediata ad esporsi, riportando dopo anni i Foo Fighters a Cesena, ha compiuto l’impresa. Dando forse nuova linfa allo spirito musicale di una città che da troppi anni viene snobbata dalle rockstar, vincolata da concerti più per la terza età che per altri.

Che poteva essere molto, molto più grande se tutto fosse andato come voleva: megatendone con quattro palchi all’Ippodromo e i Foos in concerto con i 1000 – magari in formazione ridotta a 500 o 250 –, organizzazione interamente adSenza titolo-1 appannaggio dei ‘millini’ e autoproduzione, 130mila euro di budget per l’operazione… insomma, aggiungere al capolavoro di comunicazione un capolavoro di produzione. Purtroppo serviva un terzo capolavoro, questa volta diplomatico, con il management di Live Nation che non è andato a buon fine, ma tanta roba comunque.
Quello che è importante di ciò che non è riuscito è il concept: i 1000 che suonano con la band invitata. Da questa idea, per nulla accantonata, nasce il ‘nuovo’ Rockin’1000.

ALLA BATTAGLIA!
Le forze messe in campo da Zaffagnini sono ben definite. Alle spalle ha l’organizzazione del Teatro Verdi, pronta a supportare anche tecnicamente la riuscita dell’evento, tanto che qualcuno si sarebbe lamentato con più entità ed enti del fatto che lo scorso novembre Live Nation avesse chiamato Libero Cola per organizzare il live del Carisport. A loro si deve aggiungere lo staff Rockin’1000, con in testa Valentina Balzani, braccio destro di Francesca Amadori: loro sono stati la vera arma in più per Fabio durante il passato autunno. Ultimo acquisto della passata stagione Mariagrazia Canu, ex addetto stampa del Robot Bologna, passata relativamente indenne dalla tempesta finanziaria che ha investito l’organizzazione del festival di musica elettronica bolonneise, quelli dei 10 euro a giornalista per ottenere l’accredito stampa… a volte, il karma…
Per la produzione dovrebbe essere riconfermato Andrea Pontiroli di Santeria-Magnolia Milano, un altro che ha creato dal nulla un evento come Milano Libera Tutti e che gestisce pure Godzillamarket, booking con qualche ‘nome’ serio tipo Ministri, Le Luci Della Centrale Elettrica e Mondomarcio.
Il backoffice è composto dai finanziatori che hanno creduto subito in Fabio, sia locali – entourage del Teatro Verdi in testa con Rossi-Comandini-Di Placido, e non è un caso se il chief della parte suoni di Rockin’1000 sia Cisko Ridolfini, ingegnere del suono al ‘Teatrone’ –, Romagna Iniziative e Comune di Cesena, piaccia o meno ai detrattori delle iniziative culturali; sia nazionali, con Heineken in testa da subito… e difficilmente per questa iniziativa mancherà Red Bull: Zaffagnini potrebbe essere una possibile testa di ponte per sbarcare in Usa con il settore organizzazione eventi e andare a fare concorrenza ai brand paralleli Budweiser e Monster.

FABIO ZAFFAGNINI, IL DREAMMAKER
Il mezzo-passo falso mediatico della cover di Saint Cecilia dei Foos in risposta alla frase di Chris Martin sulla morte del rock  va archiviato: sia chiaro che la riposta per certificare lo stato in vita del rock non può essere una cover messa su YouTube tipo • S I S T I A N A • oppure AppleLets o altri vlogger musicali, e le 80mila visualizzazioni in due mesi non mentono: pochine.

Si parlava qualche tempo fa di un Rockin’ 2000 puntando su a richiamare un’altra band spesso pronta ad operazioni simpatia avendo un frontman che si è costruito l’immagine di saggio guru easygoing coccoloso: Eddie Vedder dei Pearl Jam, altro idolo alla Dave Grohl col dono dell’ubiquità, in bilico tra santità e paraculaggine.
Poi più volte Fabio ha sognato l’America, e allora Rockin’ 10000 avrebbe ottenuto un riscontro ancora più grande della scorsa stagione. E Fabio il pallino del diventare promoter in maniera non convenzionale lo ha sempre avuto sin dai tempi di Fabiulosoentertainment, quando nel 2008 provava a portare in giro per concerti chi non trovava compagnia per andarci. E nell’epoca del click basta un video ben fatto e un investimento solido alle spalle per mettere in moto il consenso e la macchina del mercato: i sogni si realizzano se ci si crede e se ci si fa credere. E a Cesena di credito ce n’è parecchio, anche per pensare l’impensabile. E per potersi rinnovare, cosa non da poco.
Perché se di fatto il progetto alle spalle di Fabio era quello di creare uno staff di persone in grado di creare eventi di qualsiasi tipo a Cesena– esempio il TEDx al Verdi del 9 aprile prossimo –, quello di Fabio è di inserirsi nell’unico mercato rockin1000-foo-fighters copiadell’entertainment veramente redditizio, quello del live, saltando la gavetta del concertino nel locale e passando direttamente tra i pro. Come effettivamente è riuscito a fare con appena un anno di pierraggio e l’organizzazione di un concerto per una cover band, completamente gratuito, con soldi in fin dei conti nemmeno suoi, regalando un sogno da lui stesso costruito.
Fabio Zaffagnini, il dreammaker.

1000+BAND… TOCCA AI NEGRITA?
E allora non dovrebbe essere casuale l’incontro che Fabio avrebbe tenuto lunedì 29 febbraio scorso al Vidia Rock Club prima della seconda data sold out dei Negrita nel locale di San Vittore di Cesena. Assieme ai vertici Heineken, supporter della band toscana ma romagnola per ben più che motivi di ‘adozione’ artistica, Pau e company hanno ascoltato le idee di ‘NegritaFabulos’ in merito al suo nuovo Rockin’ 1000 con un certo entusiasmo: la band non ha mai nascosto la passione per il grunge e la costola rock successiva e il parallelo con
i Foo Fighters – sia chiaro, mi sanguinano gli occhi a leggerlo mentre lo sto scrivendo – in salsa italiana potrebbe pure reggere. Che siano loro la band che suonerà con l’orchestra dei 1000?
Da capire se sarà ancora Sabiu a dirigerli, da capire quante saranno le band coinvolte. Un suggerimento: se tra le band ci fossero anche i Lennon Kelly – per fare un nome locale con respiro internazionale e una certa fama nella Penisola –, male non farebbe allo spirito d’aggregazione della comunità. Tra l’altro i ragazzacci han pure suonato al Knust di Hamburg per il gemellaggio tra tifoseria del St. Pauli e del Celtic, quindi sono abituati alle venue ‘calcistiche’.

MICA FACILE ALLO STADIO. MICA FACILE PER GLI ALTRI
Lo stadio di Cesena è stato sistematicamente aggiornato e concepito nel corso del tempo per scoraggiare eventi musicali, nonostante un’acustica altamente performizzante che lo inserisce nella top three di possibili date zero di artisti come Vasco Rossi e Ligabue. La natura tecnica dell’impianto non offre grossi margini per il trasporto delle impalcature all’interno, facendo levitare i costi di organizzazione a livelli inimmaginabili per la portata di pubblico, che si aggira attorno ai 23mila spettatori. Quindi stiamo parlando di un evento ancora più complesso di quanto già non sarebbe in condizioni normali. L’ultima volta fu a fine settembre del 2009, Gianna Nannini in chiusura della megaconvention dell’Unipol. Il fondo del ‘Manuzzi’ poi, in sintetico, non aiuta.
Se la prima operazione Rockin’ 1000 era puntata sul richiamo dei social e sulla viralità – specialità del Fabuloso di Fusignano –, qua si tratta di un’operazione di mera organizzazione e produzione, campo su cui non c’è stato un vero test. E se c’è stato, ha mostrato essere un’incrinatura più che un punto di forza.
Insomma, il Comune è stato molto chiaro nel supportare anche questa volta Fabio, come anticipato da Iacopo Baiardi del Corriere Romagna martedì scorso, mostrando lungimiranza e coraggio notevoli, ma le tempistiche, come da tradizione, sono strette, e serve l’investimento della città intera. Ovviamente non scordandosi che a parte il richiamo che ormai il nome del brand porta online per Cesena, ci sono altre realtà musicali che fanno grande la nostra città, a partire da acieloaperto.
Realtà di cui non bisogna scordarsi mai. Nemmeno a fronte di 1000 musicisti, diverse band e una venue da 23mila persone. Realtà che con anni di gavetta alle spalle hanno portato anche 100mila persone in due giorni a settembre 2010 per il Woodstock 5 Stelle al Parco Ippodromo, dove peraltro potrebbe essere interessante spostare nuovamente la manifestazione, un po’ come un anno fa, che sarebbe una suggestione romantica, una possibilità di mettere ancora più persone, per un compleanno da favola. O all’Ippodromo direttamente, che poteva essere la sede adatta a novembre già per il concerto dei Foos, almeno nella vision di Zaffagnini.
Ma se fosse lo stadio, chissà che non si possa fare il nuovo Rockin’ 1000 in concomitanza con il Picnic Bianconero
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© Gian Piero Travini

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BRAND ROMAGNA X

Senza titolo-1

“ … tanto tempo fa, in una Romagna lontana lontana… ”

Il concetto di Brand Romagna ha la stessa volatilità del concetto di Wellness Valley. O viene tenuto alto, oppure si sgonfia e rimane solo nella mente di chi lo ha concepito.
Questo non per sua natura ‘debole’, ma per la particolare forma che in Romagna queste idee hanno preso. Perché come Wellness Valley non è un ente fisico, non è un luogo che si vede, bisogna iniziare anche sul Brand Romagna a ragionare in termini di approccio, di esperienza di vita. Di sensazioni. Anche perché c’è chi si emoziona guardando il cartello che annuncia la valle del benessere al casello dell’autostrada come la sorridente influencer Maria Vicini, mentre magari mio fratello si domanda se i cipressi della Technogym siano finti.

Quanto a me, guardo la mia città dall’alto del Monte, chiacchierando di tango con strane e diafane creature musicali, e quando vedo lo stabilimento di Technogym nel mezzo della campagna di Romagna capisco che si debba prendere molto seriamente un’idea per trasformarla in posti di lavoro e indotto, altrimenti si rischia solo di snaturare ciò che siamo.
Prima che lo chiediate: il Brand Romagna deve passare necessariamente da Technogym perché Technogym è Romagna. Come deve passare da Orogel, da Confcommercio, da Fiera, dalle nostre amministrazioni.
E da noi stessi.

MAIEUTICA DI ROMAGNA
Una volta andava di moda far figli. Ora va di moda comprarli all’estero, tipo duty free in aeroporto. Come le idee, a ben pensarci.
C’è bisogno di aiuto nel primo caso, c’è bisogno di aiuto anche nel secondo. Serve qualcuno che aiuti a far nascere un’idea, a svilupparla, magari partendo 10960205_1525843507677788_2203725867985088269_o copia.jpgda concetti anche divertenti o goliardici come la moda Centoxcento Romagnolo di Marco Bianchi per creare qualcosa di più grande.
Per il Brand Romagna parte tutto da Annalisa Raduano.
Annalisa Raduano è il vicepresidente vicario della Camera di Commercio di Forlì-Cesena. E la fortuna è tutta della Camera di Commercio, perché Raduano è un osso duro. È una romagnola, come non se ne incontrano spesso nate dopo il ’70. Vuole sempre aver ragione lei, non ti lascia mai l’ultima parola, se non le va bene qualcosa ti lascia lì e si arrangia da sola. Che con me hai vita breve, perché sono ancora peggio… a meno che tu non abbia ragione. E lei sbaglia poco, poco, poco. Ed è sempre lei a proporre il brand il 7 febbraio scorso, memore dell’esperienza di Terre Di Romagna, in una riflessione che desse una pronta risposta al Food Brand Marche, presentato in tempo per Expo 2015. Lo stesso giorno l’advisor Lorenzo Tersi, uno che vede le cose prima, parla di diversificazioni del brand, puntando anche sul turismo. Per un mese l’idea tiene banco: i giornali e gli opinionisti come Davide Buratti su RomagnaPost hanno una loro idea, si muove Magni di PrimaPagina per la comunicazione, Piraccini di Orogel parla di e-commerce, ConfCooperative vorrebbe coinvolgere l’ente Fiera, Zambianchi c’è.
In seno alla Camera di Commercio l’idea matura in un paio di tavoli, come alla Settimana Del Buon Vivere 2015, poi si volatilizza… In realtà cambia solamente nursery e viene cullata a Roma.

… fino a che ‘Cap’ Corrado Augusto Patrignani a Vox Populi qualche giorno fa non si mette alla testa di un nuovo movimento brandizzante, con la benedizione dell’on. Sandro Gozi, che il Brand Romagna lo ha sempre coltivato, anche in forza dell’amicizia e del rapporto stretto intessuto proprio con il già citato Tersi: la ‘culla’ romana, appunto.

“Siamo in buone mani e spero che il presidente Patrignani, ideatore del Brand Romagna, abbia tutto il sostegno che deve avere, non solo morale ma anche politico” (on. S. Gozi a Vox Populi, 4 marzo 2016)

Il sostegno politico invocato da Gozi c’è già, basta tornare con la mente al 23 febbraio 2015, quando lo stesso sindaco di Cesena Paolo Lucchi si era fatto promoter politico di questa iniziativa.
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Quindi l’appoggio politico c’è. Le infrastrutture ci sono. Gli enti ci sono, e il ‘flacone’ Fiera di Cesena non potrebbe essere più adatto. Se nel 2015 c’erano gli stakeholder ci saranno anche oggi. Ora serve fare una mappa dei brand di Romagna, perché altri stanno portando avanti questa idea. Che stia a ‘Cap’, ultimo ‘padre’ dell’iniziativa, mappare le risorse e metterle veramente al tavolo di dialogo?

MAPPE DI ROMAGNE
Brand di Romagna. O di Romagne.
Tante Romagne. Troppe Romagne, per certi aspetti. Mai abbastanza, per altri. La Romagna della moda calzaturiera, del food, del wellness, del turismo – quella di cui si fa accenno anche a Vox Populi –, tutte viste come se fossero elementi disgregati l’uno dall’altro quando in realtà dovrebbero essere tutti raccolti sotto un unico ‘ombrello’ di opportunità. E tanti brand.

Come il modello di esportazione turistico ROMAGNA presentato dal Presidente della Regione Bonaccini a Rimini il 26 febbraio scorso, che ritorna ad aggredire il mercato tedesco, arrivando a studiare linee ferroviarie dirette Rimini-Monaco. Ecco allora il tema del viaggio, qualcosa sottovalutato forse da chi continua a stracciarsi le vesti per lo spostamento di Macfrut da Cesena a Rimini senza considerare la logistica degli spostamenti nel 2016. E allora ben venga la proposta di immagine alla Germania, con tanto di sito in tedesco dedicato, ma poi si inizi a guardare ai mercati dell’Est, con analoghe proposte sull’internet in polacco, russo, cinese e giapponese.
Una questione di spostamenti, di coordinamento… e di Regione, che ultimamente sembra muoversi apparentemente ‘slegata’ da certe dinamiche territoriali dell’entroterra.

La differenza, almeno rispetto a un anno fa, è che la causa del Brand Romagna è stata sposata da un network forte come TeleRomagna e da un giornale altrettanto forte come Il Resto Del Carlino, e quindi anche la visibilità verso l’opinione pubblica ne risulta decuplicata…
Ecco allora che questa diventa la tempesta perfetta da sfuttare, partendo magari proprio dal territorio cesenate. Insieme.
Perché se un’idea è buona, non importa tanto chi se ne prenderà la paternità.Senza titolo-3

© Gian Piero Travini

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MUSICA, CRIMINE E RISCATTO IN ROMAGNA

piadinaCredo che tutto parta da Nessun Nord del Consorzio Portuali.
È lì il crimine. E poi il riscatto.

Nessun Nord, che sto ascoltando pure in questo momento, esce a settembre del 2014. Io lo ascolto qualche mese dopo, dopo che Ale Franchini lo racconta come uno dei migliori album del suo anno.  Senza titolo-4Decido di fidarmi del gusto del nonpiùgiovane Flamingo, che mi aveva già fatto innamorare di Jungle dei The Jungle, e butto su la nuova edizione della Caffé Sport Orchestra…“Ma se me ne sbattevo la ciolla nel 2000, perché li cago adesso?”.

La risposta mi arriva dopo qualche giorno, perché deve crescere dallo stato brado di istinto e diventare ragione: perché so di trovarmi davanti ad una svolta epocale per Cesena. Più o meno come quando Gawa portò i The Diplomats Of Solid Sound al Gallery’s – novembre 2006– e capii che non saremmo mai più usciti dal rockabilly. Insomma, da quel momento divento cosciente che il folkammerda avrebbe invaso Cesena, uscendo dall’episodicità di un acieloaperto o dalle nobrainate et similia con almeno quattro date in nove mesi del Pan Del Diavolo, compresa la Festa dell’Unità a San Zili. Da quel momento so che dovrò soffrire almeno una stagione prima di avvicinarmi di nuovo ad un concerto made in iPiad.

QUELLA VOLTA CHE IL MAESTRO MONTI CI RIMASE SOTTO
La prima cosa che realizzo è che in Cantera sta per consumarsi il dramma. Pop romantico, qualche eco più eucalypto che calypso – la figata che non ti dico dell’eucalipto al brunch della domenica mentre leggi il Washington Post e ti chiedi:“Deeeeeeeeoooooopppo’, ma tzioè, se è un Pozt xké non sta su EffeBBì?” –; testi facili come un sangiovese a Villa Silvia, dove ci si preoccupa solo delle zanzare e che l’amore non si confonda con l’amicizia, perché dopo il seme c’è la fuga; concept da tre quattro ricondivisioni, ma senza link a Di Battista… Metti che Franchini l’ha buttato su sull’asse da stiro dove fa i suoi djset, e possiamo dare per disperso Andrea Monti.
Ed ecco che accade. Perdiamo il Maestro.
Ma, ricordate… il crimine, e poi il riscatto.

Lo step successivo è che Andrea Monti ti organizza il concerto dei thegiornalisti. Nel 2015, in estate. 10 luglio. I thegiornalisti. Non è un caso se adesso molte delle ragazze presenti all’evento siano gravide: un concerto dei thegiornalisti in barchino a Zisnatic è come pescar con una bomba a mano al Lago Valloni: si piglia facile il pesce. I thegiornalisti. Che è come dire il Consorzio Portuali, senza la modestia, il mare e il sorriso del Consorzio Portuali. I thegiornalisti. Quelli che… nel 2012 fanno uscire Vecchio perché chiamarlo Stanco sarebbe stato troppo sincero. Quelli che… dedichi Proteggi Questo Tuo Ragazzo per ufficializzare la friendzone. Quelli che… l’Eukanuba, perché è pien così di cagne.
Winter is coming, e dalla Barriera arrivano altri folkantautorindiemmerda, che se la giostrano tra Cantera, Salotto del Custode e dintorni. Più che La Tempesta, l’uragano. Giuro. Non faccio in tempo a dire che “Calcutta almeno ha una sua dignità” che al Sidro non si regge in piedi. “Il disagio del Battisti di disagioLatina”… bimbi, non è disagio, è che non regge il birrino, e se a Mannarino gli piglia violenta, ad Appino allegra, a Kruger gli piglia e basta, a lui gira triste, molesta e priva di contenuto. Difatti è il trionfo.
E Cesena triste, molesta e priva di contenuto rischia sempre di diventarlo.
Ma, come dicevo… il crimine e il riscatto.

Dopo che Paradiso lo charmizza per una lunga estate calda, Monti si scrolla di dosso Murray, Wes Anderson e la meglio gioventù e, da saggio Barabba post crocefissione con chilometri sulle gambe messi su, vede la svolta elettromagnola teorizzata al Vidia con il Massive, che sdogana Godblesscomputers nel 2013, ed esaltata da Piero Emme con Gold Panda, Com Truise, Clark e Plaid – io aspetto Chet Faker tra il 2016 e il 2017 –: si passa dal Sandista! al Cameo con Louisahhh!!! e Ayarcana in Teatro Verdi. Stay classy, Cesena. Quei ragazzi son cresciuti? Freddanotte rimane ancora nell’anonimato, ma i canterini appoggiati al circuito MAGMA fanno richiamo. Vero è che il progetto è fin troppo elitario per la città, ma almeno c’è del coraggio. E penso che il coraggio vada sempre premiato, soprattutto quando non sfocia nel piagnisteo, come in quel di Bologna in tempi recenti.
Il riscatto. Osare. Uscire dalle fregnacce del Bel Canto e tornare al rischio. Al sudore. A quella parolaccia chiamata “rock”. Che se poi ci si rimette un po’ di più, non abbiamo grossi problemi per venire nel tal posto a bere una birra in più. Siamo romagnoli e, cazzo, dobbiamo ricordarcelo. Perché prima c’è il crimine, e poi il riscatto.

PER NON RIMANERE (TAME)IMPALATI
Parte una rivoluzione lenta, silenziosa, fatta ancora troppo di guerre tra poveri. Mentre altri combattono la battaglia per la musica con l’algoritmo di pagamento di YouTube, i tanti nuovi “artigiani” del live si mettono di impegno per preparare la gran roba. I Mille e i Foo Fighters mettono al centro del mondo la Madonna del Monte, ma fu sera e fu mattina: la buona partenza va sfruttata fino in fondo, perché i 400 metri piani sono una gara più stronza di ciò che non si pensi.
Libero Cola, chiamato a metter su il Trono di Grohl al Carisport perché c’è un tempo per chi pubblica rebus ma pure uno per chi avvita bulloni,  si risveglia improvvisamente dal torpore alternmetalcore e butta soldi in cose che apparentemente non sono rock ma che valgono come valeva il rock quando ancora non lo sputtanavamo con cover online spacciandole per rivoluzione.
Sold out con Vinicio, doppio sold out con Negrita, poi si prende il guadagno e si reinveste sul camaleonte Tricky e si vede quale sarà la risposta: a proposito, il vegliardo trip-hop suona sabato sera a San Vittore… facciamo finta di apprezzare la storia della musica recente per un paio d’ore e andiamo a vederlo, su.
Poi il ‘Padrino’ ci infila Salmo. Che, attenzione a dire che con operazioni del genere il EXTRALISCIO-canzonidaballo-itunesVidia si sputtana: a parte la nuova scena romana che prosegue dai Calibro 35, io non trovo in giro cose più rock di Salmo. E non parlo della musica, ma dell’atteggiamento e del messaggio. Ribaltare.

La roccia che rotola. Salmo ribalta.
Ribaltano i Kelly nei loro live dove sono macchine da Concerto del Primo maggio che farebbero il culo alla maggior parte degli headliner. Ribaltano i Sacri Cuori, versione cappelletto dei Calexico quei dieci-quindici anni dopo, ma avercene di Sacri Cuori che ancora ci portano a scuola di come si suona. Ribaltano gli Ottone Pesante e ribaltavano Kruger, Toni, Mercadini e Duo Bucolico quella sera al Vidia, ma era una roba su cui puntare con più insistenza: i primi bisogna che ci facciamo l’orecchio, magari passando prima dai Musicanti di San Crispino; i secondi si sono un po’ persi nelle loro strambe baruffe. E ribalta Mariani con ExtraLiscio. Ribaltone, anzi. Roba che Germano Montefiori si farebbe una sega se fosse ancora tra noi. O se la farebbe fare da una bella bimba.
Ribaltati è meglio di impalati, temo. O Tame Impalati.

COSA RESTERÀ DI QUEST’ESTATE K16?
Una situazione che ha già dell’irripetibile.
A sud i ragazzi di LP Rock Events smettono per un po’ di stampar volantini e a giugno sparan la combo The Offspring, Pennywise e Good Riddance, mentre ad agosto l’appoggiano leggerina con i NOFX, un’operazione da cinque zeri con davanti un numero che si avvicina a 3: per regalare un’adolescenza o una prima maturità a distanza di vent’anni sono un’investimento da togliersi il cappello, sissignore.
A nord si prepara Woodstock sulla via Emilia, partito come una mezza goliardata e poi come qualcosa di più, augurandogli che non sia un salasso come quell’altra roba di cui sopra.
Poi c’è il Beaches Brew, aggratise, sulla spiaggia, che ammorba con la solita scena pseudo post rock canadese, ma lancia anche qualche bombetta come i Beak>. Tuttavia rimane un problema di fondo, che non è dei ragazzi di Bronson/Hana-bi, ma li uso un istante come esempio: tra Ata Kak gratis in spiaggia e Tony Allen pagando al Locomotiv, fino a 20 euro sto con Tony Allen. Insomma, i festival di più giorni gratuiti hanno sbatta e generano spunti, ma non bastano per innescare un sistema. In Italia si sta ancora troppo al palo, mentre in Spagna scrivono LCD Soundsystem, Radiohead e Sigur Ros come se fosse la normalità. Ah, già… è la normalità.
Poi Pierone fa partire il terra-aria dei Primal Scream e salta il banco. Un’operazione difficilissima da fare da solo, di quelle che ti fanno combattere fino a un secondo prima della firma e poi capisci che la guerra è appena cominciata… probabilmente, ancora una volta dopo la combo Lanegan-Calexico, Piero Emme e i ragazzi di RetroPop Live si prenderanno la palma di evento musicale dell’anno anche per questo acieloaperto, ma mi rimane comunque qualcosa di insoluto nell’aria cesenate, che nemmeno lui può risolvere.
Il Parco dell’Ippodromo.
E l’idea che, tutti insieme, si possa fare qualcosa di serio in quel contenitore.

Chi è bravo con il social si potrebbe occupare del social. Chi è bravo a fare da aggregatore si potrebbe occupare di fare da aggregatore. Chi è bravo a realizzare un concerto si potrebbe occupare di realizzare il concerto. Chi è bravo a raccogliere i soldi si potrebbe occupare di raccogliere i soldi…
Una lineup vera e competitiva, almeno in Italia, per una tre giorni che porterebbe vero indotto, e non il sogno di una notte di mezza estate. Con un biglietto di ingresso vero e competitivo, almeno in Italia. La location c’è. Le risorse umane, dannazione se ci sono. Bisogna solo sedersi a tavolino subito tutti quanti e guardarsi negli occhi. Cosa che non è stata fatta ultimamente. E infatti si è rischiato grosso in più occasioni.

“Mi ricorderò, ti ricorderai/Forse lo farò, forse lo farai” (Consorzio Portuali, In Fila, 2014)

Perché credo che tutto parta da Nessun Nord del Consorzio Portuali.
Forse lo faremo.
O forse no.
Siamo romagnoli. E facciamo sempre il cazzo che ci pare.

© Gian Piero Travini

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IL CALCIO AI TEMPI DI CASADEI PARLANTI

Casadei ParlantiSPINNING AL SANATORIO
Da San Piero in Bagno ad Alfero saranno venticinque minuti di macchina e un paio di tornanti notevoli. Lungo il tragitto vien voglia di fermarsi al lago di Acquapartita: pesca alla mosca, sacra pazienza da cesena_acquapartita_thumb400x275spinning guardando l’ex sanatorio, ora famoso ritiro dell’Ac Cesena, che si staglia poco lontano – ora dismesso, ma una volta fiore all’occhiello della vallata –, e ci si può portare a casa anche una cinquantina di trote.lago-acquapartita
“E invece oggi c’è la sfida contro la prima in classifica, la Polisportiva Sala – spiega Mirco Casadei Parlanti –. È sabato pomeriggio e se vinciamo andiamo a quattro punti da loro, con una partita in meno: con questa noi dell’Alfero ci giochiamo il campionato”.

Lo scorso Natale Mirco ha compiuto 53 anni: per l’età che ha dovrebbe darsi all’ittica, e invece gioca al pallone dal 1972: continua a macinare chilometri su e giù per le colline che anche la Toscana zona Fiesole ci invidia, divorato dalla passione. Il 5 dicembre scorso ha segnato sul campo riminese del Junior Coriano – in Terza categoria – il suo 600esimo gol: chiamarsi bomber con evidenti meriti sportivi e raggiungere lo storico traguardo proprio sotto la parrocchia dei primi calci, lui che viene da Rimini e ora vive sull’Appennino romagnolo.

IO SONO LEGGENDA
È la Leggenda. Sta tra Gerd Müller e Ferenc Deák per numero di reti segnate, e in Romagna ha lasciato il segno più di Dario Hubner o Walter Schachner col Cesena e Adrian Ricchiuti col Rimini messi assieme.

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Tutti i cronisti sportivi locali conoscono la sua storia, tutti gli arbitri sanno che dovranno guardare la linea di porta quando il pallone lo ha lui tra i piedi. Tutti i portieri che lo incontrano… eh, loro sì che vorrebbero essere a pescare ad Acquapartita, piuttosto. “Non so se sono quello che ha segnato più di tutti in Italia, ma è andata comunque bene. Ho un quaderno dove tengo segnati tutti i gol… ogni tanto me li ripasso. Così, perché e magari studio imparo meglio: mi aiuta a crederci ancora”. Professioni di fede con bibbie compilate a colpi di Bic. Corani rilegati con carta profana, dove saltano per aria solo gli stinchi e si sognano paradisi con al massimo un paio di cubiste del Cocco. I sette libri di un Kamasutra del piacere dove le palle in gioco sono ben altre, ma fanno comunque urlare.Lo chiamano ‘Rella’: “Avevo appena iniziato a giocare: stavo in porta, te pensa. Il resto lasciamo perdere, ma non finì bene, perché me la facevo sotto”. Lo spostano in attacco, e la colite passa alle retroguardie avversarie: parte col Colonnella in Prima Categoria – sempre nel riminese – e ne segna venti a stagione. Le mamme argentine dopo l’82 dicevano ai loro gauchitos turbolenti: “Fai il bravo, altrimenti arriva Claudio Gentile”. I babbi riminesi dopo l’84 dicevano ai loro bimbi pestiferi: “Fai il bravo, altrimenti arriva Casadei Parlanti”, ormai entrato negli incubi della tradizione di Romagna assieme al mazapegùl e a Igor Campedelli.

PRO… E CONTRO
Si consacra nei campionati nazionali alla Sampierana e arriva la chiamata, a 29 anni, nei pro: in C2 Vittorio VITTORIOSpimi, trainer del Rimini, ha bisogno di un attaccante in più e vuole Mirco. Spimi è un signore serio, quasi schivo, l’esatto opposto di Casadei Parlanti… la miscela funziona: addirittura il ragazzo va in gol allo scadere di Rimini-Cecina, 3-0. E la settimana dopo è determinante a Lanciano, dove i biancorossi vincono 1-2 con un suo gol decisivo. Potrebbe essere la sua svolta, ma alla fine il Rimini è quarto e, dopo quindici presenze, ritorna nel limbo interregionale. Per fortuna… Per fortuna di chi crede in un calcio fatto di difesa a zolla, di folk rural-parrocchiale e di bolge infernali tipo il ‘Brusati’ di Santa Sofia, dove volan bestemmie, menischi e pure pietre la domenica mattina se la giacchetta nera di turno non si mantiene abbastanza umile.
Quelli che… il calcio minore andava avanti a Casadei Parlanti, Diana rosse e long island la sera prima al Thai, e noi, sbarbi che facevamo i tabellini la domenica pomeriggio si guardava subito la Promozione per vedere non se aveva segnato, ma quanti ne avevamo fatti.

Ritorna sui campi al limite del praticabili, le ‘schiena di buratello’ della Romagna: anni di gol a Castel San Pietro, a Bagno di Romagna e il ritorno a casa, col Perticara. E poi Alfero. Sente gli acciacchi, ma non molla: “Vediamo a fine stagione: siamo alla quindicesima giornata e sono a quota sei, e non ho intenzione di mollare”.SCRITTA
“Ora è più facile emergere dalle categorie minori – continua –, perché è cambiato il calcio. Vado a vedere l’Eccellenza e non c’è differenza tra uno che gioca bene lì e uno che gioca in Lega Pro. È una questione di fisico, di atletismo: è il ritmo che fa la differenza, ora. Io andando in C2 mi sono perso forse quattro o cinque anni di serie D, perché ho perso il giro”. Sale l’orgoglio del bomber di razza, anche se in periferia: “Non avevo nessuno che mi sostenesse, a quei tempi, e me la sono giocata male… ma non sono mai sceso dalla doppia cifra, dopo. Tranne che l’anno scorso: fuori cinque mesi per un’ernia”. Che è forse il primo infortunio serio che abbia mai avuto in tutta la sua vita: ma prima o poi il limite umano doveva saltar fuori.

LA COSTRUZIONE DEL TEMPO
Col Sala è sconfitta per 0-3. È una gara stronza, di quelle da ansia da prestazione, , dieci punti separano il suo Alfero al terzo posto e lui rimane inchiodato a quota seicento: il campionato di ‘Rella’ è lungo, e ad arrivare ancora una volta in doppia cifra si fa sempre in tempo.
E di tempo Casadei Parlanti ne ha.
“Passa per tutti, ma sta a noi trovarne sempre di più – la lezione del bomber . Non siamo infiniti, so che a un certo punto si romperà la magia. Mi fermerò sempre di più in panchina, dovrò darmi un po’ di tregua, farò spazio ai giovani. Poi inizia tutto quando faccio la borsa. Non ci metto solo la divisa o le scarpe, ci metto dentro anche tutti i miei anni, le mie esperienze. Ci faccio un viaggio. Mi godo il panorama… respiro la Romagna e le sue colline… i suoi colori: cerco di far sì che ogni momento sia di quelli che vorrei rivivere continuamente. Arrivo al campo e tiro fuori dalla borsa solo quello che mi serve: anche gli anni, uso solo quelli che mi servono, senza esagerare ma ricordandomi che ci sono anche delle responsabilità. E anche quei momenti li vivo a pieno. Poi la gara, ma lì è facile. Ecco, credo che il trucco sia questo: più vivi dentro, più ti lasci coinvolgere, più vuoi continuare a farlo.
Storie di un minuto, senza bisogno della PFM.
Quelle di Mirco sono senza pretese, con ruspante follia da patàca, con una certa lucidità che solo pochi fuoriclasse hanno: che nulla ha fine, fino a che non finisce.
Che nulla è impossibile, fino a che

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© Gian Piero Travini

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