64 Slices Of American Cheese | Il Pavone Reale
Go Down Records/Goodfellas, 2016
#inunaparola: Polymoogoso
Io non so cosa succede mentre ascolto questo album, ma so che attorno a 2.32 di Theo Dei 64…
… no. Dall’inizio.
Il nuovo dei 64 Slices Of American Cheese da Cesena, che da ora in poi chiamerò 64SOAC, parte con 1’55” di saw. Non l’Enigmista. No. Di onda a dente di sega. Come se fosse la Sigla di OK. Non Computer, ma Il Prezzo È Giusto. Insomma, per una volta non sono soldi buttati nel cesso. I vostri: l’ultimo CD che ho comprato inedito è stato ‘The Power To Believe’ dei King Crimson.
Il Pavone Reale. Non so perché. Non credo di volerlo chiedere a Filippo Bianchi. Non vorrei che poi volesse comprarmi la mia Parker. E poi la rivendesse su Mercatino Musicale punto com. Non vorrei.
Ma. Glielo chiedo. Dice che me lo vuole dire di persona sabato al Sidro. Perché sabato suonano al Sidro. Sabato. Al Sidro. Poi mi viene incontro pietoso perché sa che il sabato io vivo solo per il Cesena e le conseguenze del Cesena nella mia vita e mi manda questa foto qua a fianco. “Questo è il pavone reale” mi dice. Intanto il Cesena ha perso contro il Lanciano. E penso alle mie conseguenze nella vita e alle sue. E improvvisamente mi sento meno solo.
Ricordo ‘S/t’, il loro precedente e primo album. Non chiedete quando è uscito: cercatelo, fate il conto degli anni e poi chiedetevi perché io mi senta schifosamente vecchio.
Hanno messo Piedons Mmmigo dove riprendono la vena folk romagnola – prego, inserire solito riferimento qualsiasi ai Mazapegul – alla 3 (per la 2 bisogna aspettare la fine della rece), ma poi hanno sovrastato il tutto con distorsioni e sinth tamarro, zittendo tutto con finale da balera triste clarinettato, di quelli che nemmeno la cinquantenne imparruccata del Kursaal Lido te la dà, e poi parte New York New York. Ah, a proposito di tamarri… in ‘S/t’ si chiamavano The 64SOAC… con la “The”. Loro fanno finta che uno non se ne ricordi di quanto erano sfigatissimi con la “The”, ma io ricordo. Thericordo. Thegiornalista.
Poi c’è Balboa, che è un riassunto dell’album, e una tipica canzone alla 64SOAC, senza “The”: dentro ci trovi tutte le loro anime, anche quella indie, che per dieci-venti secondi mi fa venir voglia di darmi fuoco all’anima, ma attorno ai 2’58” si trasformano nei primissimi Mars Volta per circa mezzo minuto ed ecco che mi chiedo che cosa succederebbe se facessero solo musica così prima di depredare nuovamente la noia dei Mogwai. Che è chiaro che lo fanno anche per le fighe depresse, ma anche no, su.
La 5 è l’omaggio ai Calibro 35 che non manca mai: L’Oliva Taggiasca, che non è il pezzo più brillanti della cosa, ma sicuramente è quello che piacerà di più. La spiegazione è la subordinata della frase precedente. Poi improvvisamente ho una allucinazione retroattiva. Ritorno attorno al 20” della canzone. Star Wars – Main Title di John Williams che chiude in minore. Nerd scoppiati…
Olimpiadi è quella veloce con il richiamino oldie e il finale alla Morphine tanto che pure all’inizio di Oooh Gradari gioca a far finta di essere Dana Colley col sax, con risultati sorprendenti.
Con Terminator si ritorna al post rock, con la own version del tema del film di James Cameron: qui io ho poco da dire, se non che se avessero cassato tutti i primi 4′ di canzone avrebbero cavato fuori con quel giro di arpeggiatore in valzerino veloce un vero gioiellino, con richiamo finale al sequel, tanto per non perdere il contatto con la passione per le colonne sonore.
Sigla, ancora, è la degna chiosa di un album assurdo per i suoni e le strumentazioni utilizzate, che suona inizialmente come se fosse un sogno bagnato dei Van Halen, passa per le buratelle romagnole e punta hard un po’ quanto pare a lui, con spruzzate di canadese depresso che sennò mica ce li vogliono al Bronson o giù di lì.
E si torna alla 2. Theo Dei 64. Parte che sembra una roba da Zen Circus, ma c’è tutto quel polymoog che è praticamente una barzelletta… una barzelletta di quelle raccontate tutti insieme, in compagnia, mentre si cresce e si cerca di non perdersi di vista. Ma questo succede. E mentre la batteria dietro continua più indiependente che mai, a 2’08” Bianchi compie il miracolo e azzecca il miglior bridge di chitarra che io abbia mai sentito tra Cesena e dintorni, che mi riporta ai film di John Hughes, ai miei anni ’90 che però erano molto so 80’s… con i Goonies, con i film di Matthew Broderick, con Stand By Me – Ricordo Di Un’Estate… con qualcosa che non ritornerà più e che mi fa scendere una lacrima nostaglica che capita solo con Kappler degli Offlaga Disco Pax. Theo Dei 64 parla di Commodore mentre LOADING e aspettiamo di poter scrivere RUN, parla di quello che ho vissuto quando le cose erano molto più semplici, di quando mi sentivo protetto, di quando essere solo non importava perché avevo tutti i Fantastici 4 di Byrne da scoprire. Theo Dei 64 è la canzone di un’infanzia che era mia solo perché mio fratello maggiore che la pilotava con Ladyhawke. E a 2’32” posso anche provare a trattenermi ma non ce la faccio, perché il muro che è riuscito a costruire sotto, semplice ed armonico mi travolge completamente.
E prego che sia così ogni volta che la ascolterò.
Ho receraccontato Il Pavone Reale, dei 64 Slices Of American Cheese.
© Gian Piero Travini