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IL FALLIMENTO DELLA NAZIONALE

Italia vs Croazia - Finale Basket Torneo Preolimpico FIBAÈ il 31′. Il fratello sbagliato si becca un tecnico per proteste. Io zitto. È un tecnico vecchio di un paio di partite prima. In casa tutti esultano. Io zitto. Datome ci fa mettere il muso in avanti, per la terza volta. “Andiamo a Rio. Dai che andiamo a Rio!”. Io zitto. Beviamo Moretti caldina, camminiamo per il nervoso. Si parlotta. Io zitto.
Perché il fratello sbagliato con quel tecnico ha cambiato la partita. Ha annullato con un sacrificio tattico e un po’ di pressione sugli arbitri i 2 milioni che Petrucci ha speso per organizzare il Preolimpico a Torino, tronfio e ebbro di un potere che non ha più che ci aveva dato la falsa illusione che l’impresa si potesse fare.
E invece l’Italia è fuori dalla Olimpiade. L’Italia con due NBA, un ex NBA di fatto e uno che lo è da almeno tre anni anche se continua a giocare e un altro che vorrebbe andare a Houston ma che farebbe fatica a far la panca al Barça, ad oggi. E difatti è facile che rimanga a Milano.
Ho visto il futuro dell’Italia.
Ed è come il suo passato.

GIORNI DI UN FUTURO PASSATO
Contro la Lituania fu un macello. Fu un macello a livello mentale, soprattutto. Una statistica su tutte, il 28,6% da tre punti. Bad day: capita. Capita forse un 4/12, non un 8/28: a tanto era ridotta l’ItalBasket di Pianigiani. Una squadra gonfiata dai media sulla celebrata “ignoranza” dei tiri di Belinelli, Gallinari, Gentile e Aradori, che rischiò con l’Islanda pur dominando la Spagna e venne triturata dalla Lituania, senza un’identità di gioco e con gli ultimi palloni gestiti senza avere un’idea chiara di cosa fare.
Pianigiani gentilmente invitato ad andarsene, il ricorso a Sua Maestà Ettore. L’ennesima mossa show di Petrucci, ancora abilitato a far danni non già soddisfatti di avergli fatto disintegrare la credibilità internazionale del Coni italiano: chiamare il migliore allenatore senza però avere la certezza che San Antonio lo lasci libero per costruire un lavoro coerente in Nazionale, dove pure si è portato dietro Giordano Consolini per piazzarlo a seguire l’intero settore giovanile Azzurro.
E poi la mossa ‘politica’, il Preolimpico a Torino. Per aver peso. Per farsi sentire.
Per ritrovarsi con Gallinari, Melli, Datome e Belinelli fuori per cinque falli in finale.
Per collezionare l’ennesima figura da cioccolatai.
Per continuare a non guardare in faccia le realtà: Leghe senza peso, società disperatamente sull’orlo del fallimento, una sola top cow in serie A che ha sostituito la più grande bufala sportiva degli ultimi dieci anni – bufala che peraltro ha espresso lo stesso allenatore che non ha portato la Nazionale italiana tra le prime quattro dell’Europeo–, una LegaDue disintegrata dagli scandali finanziari, arbitraggi che peggiorano di anno in anno, sempre più appiattiti su Milano, settori giovanili inesistenti e nessuna programmazione.
Ho visto il futuro. È come il passato. In rovina. Perché in mano a incapaci privi di idee e a complici nei vari settori specializzati che passano sotto esaltazione la mediocrità che ci circonda, alimentati dall’HYPE del web, dove la normalità viene esaltata e celebrata facendo diventare la vera eccellenza un ricordo e chi è veramente appassionato del grande gesto atletico un semplice hater.
Ho visto il futuro. E ringrazio che Gentile abbia perso l’ennesimo ultimo possesso. Perché altrimenti avremmo rischiato di far finta che tutto andasse bene, ubriachi del samba do Brasil, soddisfatti del fatto che fossero in quindicimila a veder un 2,10 che tira all’indietro perché ha paura dello scontro fisico.
Ho visto il futuro. E se continuerà a gestirlo Petrucci sarà l’Apocalisse.
Altroché X-Men.

FUOCO AMICO
Giocoforza ho visto Italia-Croazia con telecronaca inglese. Primi due possessi, due volte passi di Gentile. “Twice in a row? Is unbelievable”. Basta un osservatore estero per capire a che punto siamo, mentre colpevolmente in Italia si minimizza. Si nicchia. Si fa finta che.
E sul campo siamo al punto che questa Nazionale non è forte. Punto e basta. Forse fa cantare il “Poppoppo”, forse attira belle ragazze, forse fa riempire il PalaAlpitour, ma alla fine i palazzetti durante i campionati sono vuoti, i palinsesti se ne fregano e Gentile pensa già di essere un giocatore di pallacanestro. Ma la colpa non è completamente sua: la colpa è di un ambiente che ha scelto di tollerare la sua diseducazione tattica, la sua meccanica di tiro sporca, la sua immobilità caratteriale e la sua supponenza per una semplice questione di ‘immagine giovane’ che di fatto ha esportato il renzismo anche nel mondo dello sport.
Questa la sua finale: 3/7 da due, 0/1 da tre, 5 palloni persi (di cui due passi a inizio gara e gli ultimi due possessi della partita), 1 stoppata subita, 4 assist. Questo l’uomo che ha gestito gli ultimi due palloni della Gara. Gara tenuta su dalla prestazione dei lunghi Melli e Cusin e da qualche fiammata di Gallinari, il miglior giocatore dell’Italia in questo momento, ma che sul dunque non riesce a mantenere la concentrazione necessaria ad un leader, dimostrando che qualcosa in NBA manca ancora. E che l’unico che continui a calarsi nella parte sia Belinelli.
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Per tacere di Bargnani che, semplicemente, non può farcela. Ed è meglio prenderne atto. Sia per lui che per chi da lui si aspetta le prestazioni di una ex prima scelta. Del termine è rimasto solo “ex”.

I CAVALLI DI TROIA
Ettore doveva scardinare gli equilibri dei nomi. Mettere Gentile davanti a un bivio come fece Giordano Consolini quando Junior era nelle giovanili Virtus. Nella biografia del figlio d’arte – perché questo a 24 anni ha già una biografia, roba che solo nel mondo patinato dell’EA7 – si dice che semplicemente Giordano lo bolla.

“Non è adatto” (G. Consolini, 2006)

Il libro di Di Schiavi non racconta però gli antefatti. Non racconta di un talento arrogante, svogliato, con una certa strafottenza e insofferenza all’essere uno del gruppo, prima che un diamante allo stato grezzo. Non racconta della Scena.

“Se questo è il tuo atteggiamento, puoi accomodarti fuori dalla palestra e non tornare mai più” (G. Consolini, 2006)

Quante di queste situazioni ne avrà vissute il coach? Con chissà quanti… E però rimane il dubbio che comunque Junior non abbia imparato nulla da questa cosa e che le offerte Senza titolo-2giudicate poco interessanti dal Barça e da Houston in realtà suonino più come sfanculamenti che altro. E che quel “Non è adatto” di Consolini non fosse così campato per aria per uno che ha vinto una decina di scudetti giovanili e un paio di promozioni in A1.

La missione di Ettore Messina era spiegare che dove sei la squadra nettamente più forte del campionato c’è spazio anche per un capitano indisciplinato, ma che in Nazionale si fa quello che serve alla squadra. Oppure metterlo alla porta.
Sicuramente glielo ha fatto capire. Forse glielo ha anche detto. Anzi, forse lo ha proprio messo davanti a quel bivio… ma alla fine sono rimasti a casa Polonara e Abass, forse troppo acerbo. La scelta non ha pagato, quando Achille sarebbe stato il rincalzo giusto per Gallinari.
La ragione tattica, il vero errore di Messina, è stato pensare che sotto pressione Gentile potesse fare il playmaker, permettendogli di convocare Poeta uomo-spogliatoio al posto di Cinciarini, sfruttando la fisicità del campano nei momenti chiave. Sotto pressione Gentile reagisce come un Di Bella sul playground dei Giardini Margherita: andando a caso.

Ettore ha lavorato sulla difesa. Ha costruito solide mura di Troia, poderose, che hanno tenuto talmente fuori gli achei – tanto che nemmeno ci si è giocato con la Grecia –, sbolognando lo scomodo cliente alla Croazia, ma ha permesso ai vari cavalli di Troia, Gentile e Bargnani, di mandare in pappa il giochino, non riuscendo a smantellare completamente il gioco in pick’n’roll e isolamento di Pianigiani ma solamente incasinando le cose. E non è un caso se a un certo punto, prima dell’incendio finale, ci si sia giocati il tutto per tutto mettendo la palla in mano a Gallinari e pregando che vincesse da solo la partita.

Insomma, doveva tagliare le teste matte di lusso, pompate da sponsor e media, Gentile e Italia vs Croazia - Finale Basket Torneo Preolimpico FIBAAradori, e non l’ha fatto, pur trovando un Hackett assoluto MVP del torneo assieme a Melli e un Cusin in grado di stoppare per due volte Bogdanovic. Ha avuto poco tempo per lavorare, questo è vero. Ma ha commesso errori. Se uno nasce stronzo non può diventare buono solo perché ci sono logiche difficili da scardinare. E se il leone deve tirare indietro la zampa, allora è un circo che non mi interessa: perché, sotto sotto, noi speriamo tutti che l’ammaestratore venga mangiato.

LO STATO FAMILIARE DI ANDROMACA

“I nostri sono campioni, tanto quanto quelli del calcio, che avete osannato sulla stampa per un’eliminazione ai quarti ai rigori. Se non vale anche per quest’Italia allora dovete rimangiarvi quanto avete scritto sulla Nazionale di Conte” (G. Petrucci, La Gazzetta dello Sport 11/07/2016)

Neanche se lo lasciassero solo, vittima del conquistatore più sanguinario, abbandonato da tutti e in procinto d’esser servo una vita intera il presidente Petrucci ammetterebbe di aver sbagliato.
Il lutto s’addice ad Elettra ma non ad Andromaca, che prima fa da concubina all’assassino del figlio a sua volta figlio dell’assassino del marito, poi si sposa uno dei fratelli del marito morto.
E Petrucci è così. Mira alla sopravvivenza. All’avere semPetruccipre un piatto dove mangiare badando a conservare i pass giusti per i potentati.
E il problema non è l’aver sostituito Pianigiani… il problema è non averlo fatto immediatamente, non appena presa in carico l’eredità fallimentare di Dino Meneghin. Ma questo passaggio vale la pena di evidenziarlo, perché è un’altra di quelle cose passate sottotraccia. La presidenza Meneghin… Dino Meneghin smette di giocare nel 1994. Non diventa allenatore. Non diventa dirigente. A un certo punto lo mettono a fare il team manager della Nazionale, perché probabilmente suo figlio non gliela faceva a guidare dritto. Il team manager è un accompagnatore. Sky lo ingaggia. Per dire: “Oh, noi abbiamo Meneghin… voi Franco Lauro e Marco Bonamico”, immagino. Poi diventa commissario straordinario della Fip, perché era necessario un uomo di garanzia. Poi lo fanno presidente. È il 2009. E, io mi chiedo, ci sarà pur una ragione se questo in quindici anni uno straccio di ruolo di responsabilità non l’abbia mai ricoperto. A meno che non fosse l’uomo di qualcuno. A meno che non fosse espressione di altre decisioni. Magari di chi, in quel momento, aveva un altro ruolo da ricoprire.
Sia come sia, si passa da Meneghin a Petrucci e servono altri due anni e mezzo perché Pianigiani venga rimandato a casa, propiziando un bel viaggio mistico in Terrasanta.
E in questi tre anni Andromaca è sempre più solitaria.
Attorno a lei c’è sempre più vuoto.
Sì, forse Petrucci è il meno colpevole dello sfascio della pallacanestro italiana, almeno in questo momento. Ma continua a far finta di non vedere. Esattamente come quando era presidente del Coni e lo sport italiano si sporcava delle più incredibili nefandezze.
Forse lui è il meno peggio.
Forse no.
Ma, ad oggi, non basta.
Come non basta Ettore Messina.
Come non bastano Datome, Belinelli, Melli, Cusin, Hackett e Gallinari. Come non basta la generazione di fenomeni mai realizzatisi.

“Devo citare il maestro Velasco: ‘Chi vince festeggia, chi perde spiega’… e ora a me tocca spiegare. Anche se non so ancora come farlo” (E. Messina, 09/07/2016)

Velasco. A proposito di “generazione di fenomeni”…

Ho visto il futuro. È con Ettore Messina. È un futuro in cui verranno fatte scelte coraggiose, in cui si smetterà di celebrare il giovane e bello ma si cercherà il bravo. È un futuro in cui Ettore Messina potrà semplicemente allenare senza bisogno di rispondere anche ad altre esigenze.
È un futuro in cui qualcuno riuscirà a ritornare alle Final Four di Eurolega.
È un futuro splendido per il basket italiano.
Ho visto il futuro, sì.
Ma era un sogno.
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© Gian Piero Travini

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IL CALCIO AI TEMPI DI CASADEI PARLANTI

Casadei ParlantiSPINNING AL SANATORIO
Da San Piero in Bagno ad Alfero saranno venticinque minuti di macchina e un paio di tornanti notevoli. Lungo il tragitto vien voglia di fermarsi al lago di Acquapartita: pesca alla mosca, sacra pazienza da cesena_acquapartita_thumb400x275spinning guardando l’ex sanatorio, ora famoso ritiro dell’Ac Cesena, che si staglia poco lontano – ora dismesso, ma una volta fiore all’occhiello della vallata –, e ci si può portare a casa anche una cinquantina di trote.lago-acquapartita
“E invece oggi c’è la sfida contro la prima in classifica, la Polisportiva Sala – spiega Mirco Casadei Parlanti –. È sabato pomeriggio e se vinciamo andiamo a quattro punti da loro, con una partita in meno: con questa noi dell’Alfero ci giochiamo il campionato”.

Lo scorso Natale Mirco ha compiuto 53 anni: per l’età che ha dovrebbe darsi all’ittica, e invece gioca al pallone dal 1972: continua a macinare chilometri su e giù per le colline che anche la Toscana zona Fiesole ci invidia, divorato dalla passione. Il 5 dicembre scorso ha segnato sul campo riminese del Junior Coriano – in Terza categoria – il suo 600esimo gol: chiamarsi bomber con evidenti meriti sportivi e raggiungere lo storico traguardo proprio sotto la parrocchia dei primi calci, lui che viene da Rimini e ora vive sull’Appennino romagnolo.

IO SONO LEGGENDA
È la Leggenda. Sta tra Gerd Müller e Ferenc Deák per numero di reti segnate, e in Romagna ha lasciato il segno più di Dario Hubner o Walter Schachner col Cesena e Adrian Ricchiuti col Rimini messi assieme.

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Tutti i cronisti sportivi locali conoscono la sua storia, tutti gli arbitri sanno che dovranno guardare la linea di porta quando il pallone lo ha lui tra i piedi. Tutti i portieri che lo incontrano… eh, loro sì che vorrebbero essere a pescare ad Acquapartita, piuttosto. “Non so se sono quello che ha segnato più di tutti in Italia, ma è andata comunque bene. Ho un quaderno dove tengo segnati tutti i gol… ogni tanto me li ripasso. Così, perché e magari studio imparo meglio: mi aiuta a crederci ancora”. Professioni di fede con bibbie compilate a colpi di Bic. Corani rilegati con carta profana, dove saltano per aria solo gli stinchi e si sognano paradisi con al massimo un paio di cubiste del Cocco. I sette libri di un Kamasutra del piacere dove le palle in gioco sono ben altre, ma fanno comunque urlare.Lo chiamano ‘Rella’: “Avevo appena iniziato a giocare: stavo in porta, te pensa. Il resto lasciamo perdere, ma non finì bene, perché me la facevo sotto”. Lo spostano in attacco, e la colite passa alle retroguardie avversarie: parte col Colonnella in Prima Categoria – sempre nel riminese – e ne segna venti a stagione. Le mamme argentine dopo l’82 dicevano ai loro gauchitos turbolenti: “Fai il bravo, altrimenti arriva Claudio Gentile”. I babbi riminesi dopo l’84 dicevano ai loro bimbi pestiferi: “Fai il bravo, altrimenti arriva Casadei Parlanti”, ormai entrato negli incubi della tradizione di Romagna assieme al mazapegùl e a Igor Campedelli.

PRO… E CONTRO
Si consacra nei campionati nazionali alla Sampierana e arriva la chiamata, a 29 anni, nei pro: in C2 Vittorio VITTORIOSpimi, trainer del Rimini, ha bisogno di un attaccante in più e vuole Mirco. Spimi è un signore serio, quasi schivo, l’esatto opposto di Casadei Parlanti… la miscela funziona: addirittura il ragazzo va in gol allo scadere di Rimini-Cecina, 3-0. E la settimana dopo è determinante a Lanciano, dove i biancorossi vincono 1-2 con un suo gol decisivo. Potrebbe essere la sua svolta, ma alla fine il Rimini è quarto e, dopo quindici presenze, ritorna nel limbo interregionale. Per fortuna… Per fortuna di chi crede in un calcio fatto di difesa a zolla, di folk rural-parrocchiale e di bolge infernali tipo il ‘Brusati’ di Santa Sofia, dove volan bestemmie, menischi e pure pietre la domenica mattina se la giacchetta nera di turno non si mantiene abbastanza umile.
Quelli che… il calcio minore andava avanti a Casadei Parlanti, Diana rosse e long island la sera prima al Thai, e noi, sbarbi che facevamo i tabellini la domenica pomeriggio si guardava subito la Promozione per vedere non se aveva segnato, ma quanti ne avevamo fatti.

Ritorna sui campi al limite del praticabili, le ‘schiena di buratello’ della Romagna: anni di gol a Castel San Pietro, a Bagno di Romagna e il ritorno a casa, col Perticara. E poi Alfero. Sente gli acciacchi, ma non molla: “Vediamo a fine stagione: siamo alla quindicesima giornata e sono a quota sei, e non ho intenzione di mollare”.SCRITTA
“Ora è più facile emergere dalle categorie minori – continua –, perché è cambiato il calcio. Vado a vedere l’Eccellenza e non c’è differenza tra uno che gioca bene lì e uno che gioca in Lega Pro. È una questione di fisico, di atletismo: è il ritmo che fa la differenza, ora. Io andando in C2 mi sono perso forse quattro o cinque anni di serie D, perché ho perso il giro”. Sale l’orgoglio del bomber di razza, anche se in periferia: “Non avevo nessuno che mi sostenesse, a quei tempi, e me la sono giocata male… ma non sono mai sceso dalla doppia cifra, dopo. Tranne che l’anno scorso: fuori cinque mesi per un’ernia”. Che è forse il primo infortunio serio che abbia mai avuto in tutta la sua vita: ma prima o poi il limite umano doveva saltar fuori.

LA COSTRUZIONE DEL TEMPO
Col Sala è sconfitta per 0-3. È una gara stronza, di quelle da ansia da prestazione, , dieci punti separano il suo Alfero al terzo posto e lui rimane inchiodato a quota seicento: il campionato di ‘Rella’ è lungo, e ad arrivare ancora una volta in doppia cifra si fa sempre in tempo.
E di tempo Casadei Parlanti ne ha.
“Passa per tutti, ma sta a noi trovarne sempre di più – la lezione del bomber . Non siamo infiniti, so che a un certo punto si romperà la magia. Mi fermerò sempre di più in panchina, dovrò darmi un po’ di tregua, farò spazio ai giovani. Poi inizia tutto quando faccio la borsa. Non ci metto solo la divisa o le scarpe, ci metto dentro anche tutti i miei anni, le mie esperienze. Ci faccio un viaggio. Mi godo il panorama… respiro la Romagna e le sue colline… i suoi colori: cerco di far sì che ogni momento sia di quelli che vorrei rivivere continuamente. Arrivo al campo e tiro fuori dalla borsa solo quello che mi serve: anche gli anni, uso solo quelli che mi servono, senza esagerare ma ricordandomi che ci sono anche delle responsabilità. E anche quei momenti li vivo a pieno. Poi la gara, ma lì è facile. Ecco, credo che il trucco sia questo: più vivi dentro, più ti lasci coinvolgere, più vuoi continuare a farlo.
Storie di un minuto, senza bisogno della PFM.
Quelle di Mirco sono senza pretese, con ruspante follia da patàca, con una certa lucidità che solo pochi fuoriclasse hanno: che nulla ha fine, fino a che non finisce.
Che nulla è impossibile, fino a che

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© Gian Piero Travini

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