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QUESTO MIO CUORE

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“Che succede, nonno? Perché piangi?”.
“Non mi ricordo più dove abito”.
“Ma và, và. Adesso ci mettiamo tranquilli e troviamo dove abiti, va bene?”.
“Ma te sei quello del calcio? Quello della Buonanotte? Ma dove sei finito?”.
“Sai nonno che certe cose non me le ricordo nemmeno io?”.

Sant’Egidio non è Bruxelles. Non è Roma. Non è Cesena. Sant’Egidio non è nemmeno il Granducato di Case Frini. Sant’Egidio è una succursale delle Vigne, costruita su terreni coltivabili di un pugno di proprietari terrieri che poi si sono fatti costruire strade e servizi dal Comune di Cesena. Sant’Egidio è meno che un quartiere e più di un vicinato. A Sant’Egidio di notte senti amplificato come se fosse sotto casa tua il karaoke notturno del Megusta, là dalle concessionarie. A Sant’Egidio c’è il figlio della sarta che torna a casa cantando al mattino, brillo… gli dici che hai sonno, dall’altra parte della strada e lui si scusa pure. E ti dice che ha bevuto un po’ ma che è contento. E tu gli vorresti dire che hai bevuto anche tu, ma che non sei contento niente niente, ma fare terapia quando lui ha ancora una Moretti da .66 in mano non è proprio l’ideale.

Non si decide il destino del mondo, a Sant’Egidio. Non esplodono bombe. Non ci sono camion che passano sulla folla. No.
A Sant’Egidio un nonno si perde, tu lo aiuti a ritrovare la strada, e lui ti fa pure la pugnetta che non scrivi più. Non passano camion, quindi tocca portarlo a casa. Incontro sua figlia… Dice che scappa sempre, abita poco lontano. È un camminatore, non vuol fermarsi. Non sembra riconoscermi, quando si allontana.

È Sant’Egidio, me ne rendo conto.
Lei è a Bruxelles a fare cose meravigliose, io raccatto vecchi tifosi del Cesena per strada perché chi li bada non chiude il cancello.
A Nizza uno stordito gioca a Carmaggedon in versione inshallah, qui tolgono i lecci davanti alle biblioteche.
In Europa si corre il rischio, ogni istante, di una deriva fascistoide del tessuto sociale di maggioranza, e a Cesena si fa muro contro muro tra ragazzi per un tizio che legge Manzoni.

Sono miserie diverse, lo so.
Ma sono anche nobiltà diverse.
E lo capisco che dovrei provare cordoglio per tutti i morti di tutte le stragi. Di tutto il mondo.
Ma non ci riesco.
Questo mio cuore è troppo piccolo per sentire tutto.
Questi miei occhi sono troppo distratti per vedere tutto.
Questo mio fegato è troppo gonfio per stare in mezzo a tutto.
Lascio il mondo intero a chi ha scelto di difenderlo. Di combatterlo. Di governarlo. Di salvarlo.
Lascio il mondo intero agli altri e mi tengo Sant’Egidio. E i nonni che si perdono in via Madonna dello Schioppo.
Lo so, è poco. Ma questo è quello che riesco a fare.
Mi posso curare solo di poche cose alla volta. Troppo poche. Ma lo faccio fino in fondo. Sempre.

Sarei una persona più bella se potessi commuovermi per i più di 300 a Baghdad la scorsa settimana. Sarei incredibilmente social se manifestassi il dolore per quello che è successo ieri a Nizza.
Ma la verità è che non sono una bella persona. La verità è che non posso farmi investire da quello che è diventato new normal.
La verità è che qualcuno deve guardare anche in mezzo a via Madonna dello Schioppo, mentre tutti gli altri piangono per il mondo.
Io posso fare la differenza solo in via Madonna dello Schioppo. Non sono buono a fare altro. A volte mi sento un pezzo di merda inetto, è vero.
Lo so da solo. Non c’è bisogno di leggerlo il giorno dopo ogni strage. “Ai morti in °paese a caso parecchio lontano dall’Italia° non ci avete pensato l’altro giorno: ipocriti”.

Io non lo so se sono ipocrita.
So che certe volte non sono proprio in grado di affrontare il male. E piuttosto ci faccio un commento cinico sopra.
Devo pur difendermi anche io dal male…
Questo mio cuore è troppo piccolo anche per quello, forse.

© Gian Piero Travini

La foto è un estratto di un lavoro di Francesco Menicucci, un caro amico che scatta a Milano

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NON È UN PAESE PER

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ALONE IN THE DARK
Giulio Regeni
è morto.
Ed è morto come non si dovrebbe mai morire. Da solo.
E anche nel giornalismo ai tempi delle lettere anonime, quella di cui sopra è l’unica certezza. Unita al fatto che non ci si improvvisa esperti di esteri nemmeno se si è uno dei più grandi giornalisti investigativi italiani.
Regeni è morto da solo. Come un cane. Ed è solo pure nel post mortem: la pletora di ignoranti che sta esprimendo pareri su cose che non conosce è tutto fuorché compagnia. L’ignoranza aliena.
Il rischio è che la foto con gattino del ricercatore diventi l’ennesimo meme ad uso e consumo dell’hipsterografia di Vice e dei socialKissinger del web, cui si attaccano colleghi giornalisti che si sono dimenticati l’abc della verifica delle fonti: la certezza è che, anche questa volta, il silenzio assordante dello Stato italiano stia giustificando la prossima brutalizzazione.
Che, tranquilli, arriverà. Perché l’abbiamo già legittimata.

SE UNA NOTTE D’INVERNO UN VIAGGIATORE
Regeni sparisce il 25 gennaio, attorno alle 20. Esattamente cinque anni dopo la Rivoluzione del Nilo.
Non è il primo. Non è l’ultimo.
E l’Italia guarda.
Guarda un suo studente all’estero brillante, forse spregiudicato, voglioso di sicuro di fare la differenza, sparire fagocitato da uno Stato che sta scivolando nella più bieca dittatura post rivoluzionaria. E, a distanza di settantadue giorni dall’accaduto, ieri è arrivata l’unica vera reazione diplomatica ufficiale del Paese, per bocca del suo stesso premier.

“Abbiamo scelto di far lavorare insieme i magistrati di Italia ed Egitto e siamo impegnati a che su Regeni non sia una verità di comodo ma la verità. Aspettiamo che i magistrati facciano i loro incontri, noi siamo pronti a seguire quel lavoro con grandissima determinazione. Nessun tentativo di svicolare rispetto alla verità sarà accolto da nessuna parte” (M. Renzi, Il Mattino 6 aprile 2014)

In mezzo a questi settantadue giorni quattro diverse versioni ufficiali dell’accaduto sono state diramate dalle autorità egiziane. In mezzo a questi settantadue giorni il ministro Gentiloni abbozza. Il tempo passa e Gentiloni abbozza. I genitori chiedono giustizia. E Gentiloni abbozza. Dal Governo del FARE al Governo dell’ABBOZZARE. E mentre La Repubblica si diletta con deminotizie, Gentiloni continua ad abbozzare.
Questo intervento sul nuovo house organ dell’amministrazione statale, è un capolavoro di prostrazione inattiva. Un passaggio è emblematico.

“[…] la visita del procuratore della Repubblica Pignatone e del sostituto Colaiocco al Cairo ha rimesso questa collaborazione nei binari giusti. In quegli stessi giorni, il Presidente al-Sisi ha dichiarato, in interviste alla stampa italiana, di voler portare avanti fino in fondo l’attività di ricerca della verità. Tuttavia dieci giorni dopo, il 24 marzo, il nostro team investigativo è stato convocato a tarda sera al Cairo per un briefing delle autorità investigative egiziane relativo all’uccisione di un gruppo di cinque criminali dediti a rapinare o a sequestrare cittadini stranieri spacciandosi per poliziotti. Questo è apparso come un ulteriore e ancor più grave tentativo di accreditare una verità di comodo e la reazione italiana è stata ferma e immediata. Sia il Governo che la Procura della Repubblica di Roma, con i rispettivi canali, hanno subito chiarito che non avremmo accettato questa come la conclusione dell’indagine” (P. Gentiloni, L’Unità, 6 aprile 2016)

Parallele asimmetriche #1: “Ci hanno raccontato una marea di frottole che però non siamo stati in grado di sgamare subito. Quando ci siamo ‘riusciti’, perché sono stati contraddetti dal Washington Post, abbiamo provato a insegnargli come si fanno le indagini: d’altronde eravamo convinti fossero dei dilettanti. Poi hanno continuato a propinarci un oceano di boiate e noi ce ne siamo avuti a male perché se fanno i dilettanti non va mica bene.

“A questo punto credo sia legittimo e, anzi, doveroso chiedersi se la fermezza della reazione del Governo, della magistratura, della famiglia e dell’Italia intera potranno riaprire un canale di piena collaborazione; il canale, peraltro, assicurato dallo stesso presidente al-Sisi” (P. Gentiloni, L’Unità, 6 aprile 2016)

Parallele asimmetriche #2: “I dilettanti siamo noi”.

Dopo settantatre giorni il ministro Paolo Gentiloni si interroga ancora sul da farsi. Parlare di ‘debolezza politica’ non sarebbe rispettoso nei confronti di chi in questo momento sta ricercando una risposta, ma di fatto si è nel limbo dell’inazione.
E, nell’inazione, emerge solo un dato allarmante: chi attualmente è all’estero non sarà mai tutelato dallo Stato italiano. Perché lo Stato italiano non è nelle condizioni di tutelarlo. Né da vivo, né da morto.

18/11/2013 Roma, un caffè con... Paolo Gentiloni

In tutto questo, fa bene ricordare il profilo professionale del ministro Paolo Gentiloni: ha diretto La Nuova Ecologia, il mensile di Legambiente, dal 1984 al 1992. Poi è portaborse del sindaco di Roma Francesco Rutelli, poi è ministro delle Comunicazioni nel Prodi II, dove ha il notevole record di cannare sia la riforma della legge Gasparri sulle telecomunicazioni, sia quella sulla semiprivatizzazione della Rai. A inizio 2007 propone la legge di registrazione dei siti internet, a maggio 2007 fa dietrofront.
Poi scopre la passione per la politica estera tra Africa e Usa nell’ultima legislatura: una trasformazione coraggiosa e oculata, dato che sul fronte della governance interna non sembra essere stato particolarmente incisivo.

“L’Italia è pronta ad adottare misure tempestive e proporzionate contro l’Egitto” (P. Gentiloni, La Repubblica, 5 aprile 2016)

Magari avrà letto la saga di Ramses di Christian Jacq. Oppure Asterix E Cleopatra di Goscinny e Uderzo. Però ancora di pozione magica pochina. E inserire l’Egitto nella black list della agenzie viaggio non sembra tutta questa gran “misura proporzionata contro l’Egitto.
Siamo a settantatre giorni dalla morte di Giulio Regeni.
“Misure tempestive.
Tic tac.
Tic. Tac.

ARTICOLO 33, CONTRATTO DI MORTE
Forse ci siamo persi un passaggio, che vale la pena di evidenziare per avere un elemento in più quando si vuole darsi al trolling online – etico o meno – parlando della tragedia accaduta a Giulio Regeni.
Il passaggio di cui sopra riguarda l’introduzione dell’articolo 33 all’interno del pacchetto di leggi sulla sicurezza interna approvato dal Governo egiziano lo scorso agosto.

In Italia l’articolo 33 nel contratto nazionale dei giornalisti regola la fine del rapporto lavorativo tra giornalista e editore. In Egitto regola la disciplina penale su chi “riporta informazioni sugli attacchi terroristici in Egitto che contraddicono le versioni ufficiali del governo”: sanzione pecuniaria tra i 26mila e i 66mila dollari, sebbene prima della approvazione definitiva prevedesse fino a due anni di carcere. La discrimine è che è prevista la custodia cautelare in attesa di processo.

Che cosa se ne è fatto della Rivoluzione di gennaio di quattro anni fa? Allo stato attuale delle cose, con il pacchetto di leggi di agosto 2015 in Egitto, nulla. Daesh ha tratto vantaggio guadagnando in appeal sulle componenti più poveri della umma proprio dalle ‘primavere arabe’ e dai conseguenti bagni di sangue che in particolare in Egitto hanno evidenziato tutti i limiti delle rivoluzioni partite su Twitter e poi esplose nelle piazze. Questo ha minato alla vera base i movimenti rivoluzionari, che non hanno avuto reale presa sulle masse, precipitando nell’anarchia totale tanto i vecchi movimenti armati pseudopolitici arabi, resi più deboli da un Occidente molto interessato alle derive democratiche studentesche, quanto le fragili democrazie novelle.

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“Mi lasci essere estremamente franco. In questo momento l’Egitto può essere al sicuro solo con la leadership di al-Sisi: questa è la mia posizione personale e sono orgoglioso dell’amicizia che mi lega a lui. Lo supporterò nel percorso verso la pace perché il Mediterraneo senza l’Egitto è una zona impacificabile” (M. Renzi, Aljazeera, 12 luglio 2015)

Le dichiarazioni del premier sono solo uno dei tanti esempi di frettolosa, debole e obbligata legittimazione di governi mediocri che si asserragliano negli stessi palazzi dei poteri abbattuti solo qualche anno prima per paura dello spettro di Daesh.
E mentre al-Sisi si nasconde dietro tutti gli articoli 33 possibili per allestire la vetrine di un Egitto privo di contestazioni interne ad uso e consumo delle Nazioni unite e il gruppo Ansar Beit al-Maqdis continua a dar manforte alle offensive Daesh sul Sinai – letteralmente disinteressandosi di Israele guardando solo ad ovest –, Giulio Regeni muore come un cane dimenticato dalla mediocrità dei governanti e degli operatori di sicurezza.

Ad ogni articolo 33 corrisponde un ricercatore. Uno studente. Un operatore. Un lavoratore. Un viaggiatore. Un individuo che non è tutelato dallo Stato italiano fuori dallo Stato italiano.
Ma non dovrebbe nemmeno sorprenderci più di tanto: lo Stato italiano non è in grado di tutelare né in vita né in morte un italiano nemmeno su suolo italiano. Chiedere a Ilaria Cucchi pareri in merito. Giusto perché Stefano è inabilitato a rispondere, al momento.

Non è un Paese per giovani.
Non è un Paese per vecchi.
Non è un Paese per chi vuole affrontare il mondo all’estero.
L’Italia non è un Paese per e basta.
E non aiuta nemmeno a vivere negli altri.
Ma in compenso non fa nulla perché si eviti di morire.
La manifesta incapacità dello Stato italiano è diventata un pericolo alla sicurezza dei suoi stessi cittadini. Per tacere dell’inabilità praticamente totale in materia di politica estera che ora par pure irrispettoso definire imbarazzante.

Appendice giornalistica: Carlo Bonini su Repubblica oggi scrive“E, nelle stesse ore, uno dei siti egiziani che aveva rilanciato quanto pubblicato da Repubblica è stato reso irraggiungibile”. Bonini lascia intuire che la notizia sia stata condivisa da più siti di informazione, ma che tra questi solo uno sia stato offuscato. Non citando quale sia. Ma certo non si dimentica una stilettata al Corriere della Sera, che ieri aveva posto interrogativi – vedere capitoletto ALONE IN THE DARK – rispetto alla fonte anonima del quotidiano di via Cristoforo Colombo.
Perché mentre si specula sul cadavere di Regeni, ci sta pure fare a gara a chi lo ha più grosso.

© Gian Piero Travini

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