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La figa e il glocal marketing a Cesena


Spot d’apertura del Chiosco Savelli a Cesena.

IMPATTO Idee alla rinfusa dopo un primo sguardo: dodici giorni di comunicazione – il Chiosco ha aperto sabato scorso -, spesa praticamente nulla, riprese non professionali, “arriva l’estate e non c’è mai un bar bello dove fare aperitivo” detto praticamente alle spalle del Cantera – sia in senso geografico che figurato -, una decina di secondi di troppo che però non si sentono, Tellerini e Planta – i due protagonisti – diventano glocal a tutti gli effetti e sfondano i 10mila come ancora non era capitato.
13 giorni, 20 commenti, 51 secondi, 111 condivisioni, 677 reazioni, 23mila visualizzazioni. Le mie tag mentali: Cesena, chiosco, barman professionisti, cocktail di qualità, un sacco di figa, piadina. Payoff: “Dove la città si incontra”. I motivi dell’incontro sono quelli di cui sopra. E, a scanso di equivoci, la prima parola scritta qui sopra è “Cesena”.
Cesena si incontra dove c’è Cesena: il primo tema. Cesena si incontra dove c’è professionalità: il secondo tema. Cesena si incontra dove c’è “un sacco di figa”: il terzo tema.

PRIMO TEMA Il primo tema è che Cesena tira dove Cesena tira. L’anti-tema è che quando Cesena decide che un posto non tira, il posto non tira. Una sola parola: Foro. Il Chiosco invece non si tocca. 642 reazioni e nessuna di rabbia. 81 condivisioni e quelle che dileggiano il non-contenuto sono di professionisti del settore della comunicazione digitale. Ma i professionisti del settore della comunicazione digitale non sono Cesena… anche se, come numeri, più o meno una città la si popola.
Il Chiosco non sarà mai messo in discussione perché non è mai stata messa in discussione la professionalità di chi lo gestisce, Trilogy Group: ecco il secondo tema.

SECONDO TEMA La professionalità della costruzione del packaging lo rende a prova di bomba. Tutti i prodotti Trilogy Group sono a prova di bomba. Incontestabili. Questo crea di rimando un senso di inevitabilità della presenza stessa di Trilogy in città, soprattutto quando si parla di possibili nuove attività o di cambi di gestione. Bar Roma: arriva Trilogy. Bar del Capitano: arriva Trilogy. Rocca Malatestiana: arriva Trilogy. Loggiato del Comune: arriva Trilogy. Vending machine del mio ufficio: arriva Trilogy. A ’sto punto più che Trilogy, potremmo parlare di Saga. 
Trilogy è già un content in sé
, con una sua forma, un suo metodo, un suo manuale d’uso. Per questo non ha bisogno di grandi campagne promozionali: dove c’è Trilogy ci si incontra, sicuri che non si rimarrà delusi, legati anche all’avatarizzazione di Trilogy, Christian Pagliarani. Anche perché, se dovessimo rimanere delusi, lo faremmo veramente sapere? Intendo fuori dalla cerchia dei delusi, ovviamente… Non credo. Cesena non è un paese per delusi. Per arrabbiati. Per critici – fino a che la critica è della maggioranza, identificabile a seconda del medium utilizzato per la critica -… per appassionati. Non per delusi. Ecco perché al Chiosco non servono contenuti: perché non ci sono delusi. Forse solo illusi: ma quando l’illusione raccoglie numeri diventa consenso.

TERZO TEMA E arriva il terzo tema: la figa, il non-contenuto per eccellenza. Non abbiate paura di pronunciare questa parola. “Figa”. Cazzo, “figa” è perfetta come parola. E poi “figa” lo avevano già sdoganato Simo Paglia e Bernardeschi con La Figa Lessa Standard di Cesena.
La figa è IL null real content: il contenuto reale nullo. Perché la figa c’è, ma non esiste. Molti di noi nemmeno l’hanno. Alcuni di noi nemmeno l’hanno vista. Io di sicuro non me la ricordo. Non possiamo comunicarla, soprattutto quando siamo una provincia dello Stato del Vaticano. Non possiamo quantificarla realmente: “Lì c’è più figa che qui”. Come si fa a stabilirlo? “Lei è più figa che l’altra”. Quali sono i criteri? La figa è un’ente inesistente. E anche se ci fosse, non sarebbe comprensibile. E anche se fosse comprensibile non sarebbe comunicabile: il presocratismo della figa è però stato spazzato via dai social… per quanto maldestro il tentativo di comunicazione, o volgare, o irrispettoso, sui social la figa sfonda.
Servono determinate condizioni perché sfondi senza essere sfondata: “ilcazzochemenefrega” del filosofo Rovazzi è la prima. E direi che basta quella, quantomeno a Cesena. Non importa che il contenuto sia sessista, inutile: il molto rumore per nulla è essenziale per un business plan ben riuscito, almeno da queste parti. E, curiosamente, è anche la principale conseguenza dei business plan non riusciti.
Soprattutto in centro storico.

LOCAL MKTG A CESENA Il local marketing di Trilogy Group funziona a Cesena per le caratteristiche stesse del tessuto sociale. Non servono contenuti, a Cesena… servono novità o sicure certezze. Il nuovo posto che apre è sempre il miglior posto, fino a che non si innesca il bisogno di routine e si finisce sulla certezza sicura. Ora piazza del Popolo tira, ma il vero banco di prova sarà la reazione estiva con il ritorno del Chiosco.
C’è chi dice che il video di cui qui sia la miglior pubblicità per i locali alternativi… io dico che quel video parla ad un pubblico che con quei locali c’entra, ma solo per vincoli di amicizia. Cesena è il Chiosco. Trasversale. Multi-generazionale. Socialmente aggregante. #ciaopoveri. Se non sei d’accordo sei invidioso.
Il video, di per sé, non sposterà una virgola gli atteggiamenti di consumo dei cesenati della movida, ma anzi li eradicherà: chi prima non andava al Chiosco – tipo me – continuerà a non andarci, forse con rinnovata soddisfazione, praticando con gusto l’arte discreta dello snobismo; chi prima lo frequentava non potrà che rifidelizzarsi con maggior vigore dopo una simile operazione.
Il vero bersaglio della campagna pubblicitaria è il pubblico entrante. I 100 giornini del Verdi, per intenderci. I neo-diciottenni. Quelli pronti per il primo mojito ufficiale. Quelli che dovranno decidere per la prima volta dove far nottata in estate: ecco, loro sono il target della comunicazione iniziale del Chiosco. E proprio chi opera in quel campo dovrà fare veramente i conti con questo contenuto.

Perché l’essenza del marketing digitale su Facebook non è la vendita dell’esperienza, ma la propagazione del contenuto.

CASE ANALYSIS Strumentazione video adeguata: fotocamera fullHD, microfono per esterni, regolazione a comando. Tellerini e Pianta, creator di videocontenuti di Cesena corteggiati da diverse realtà dell’intrattenimento locale, hanno numeri che girano sulle 3mila visualizzazioni, con picchi a 7-8mila. Hanno avuto il loro boom ad inizio 2016, poi i numeri sono andati in calando, fino a questa prestazione superlativa.
Non c’è nulla di casuale nel successo di questo video: Pagliarani non fa mai nulla a caso. Ha preso due producer senza paura di sputtanarsi perché forti di una fan base abbastanza solida e perfettamente in linea con il null real content, ha messo loro due brand in mano – Chiosco e Piadina del Chiosco -, e li ha messi a proprio agio sul loro medium: Facebook. E non YouTube.

Si caricano preferibilmente video su Facebook e non su YouTube quando fanno riferimento ad una comunità ristretta e fortemente tipizzata o localizzata o quando non si vuole perdere reach per eventuali contenuti embeddati.

Per Cesena cercare pubblicità alternative a Facebook sul digital è praticamente impossibile: anche su Instagram rispetto a riminesi e forlivesi siamo tra i sei mesi e l’anno di ritardo.
Non a caso i principali influencer in Romagna sono tutti in zona riminese, e quelli cesenati o hanno puntato altre aree – vedi Maria Vicini -, o sono ancora in erba – come Isabella Poggi – ed è comunque molto difficile trovarli fuori dall’ambiente food, salvo animali fantastici e dove trovarli come Fabrizio Faggiotto.
Certo, Tellerini e Pianta non sono degli influencer, e probabilmente hanno beneficiato più loro che Trilogy della prestazione video, ma il local marketing, per diventare glocal, dovrebbe puntare proprio su questo tipo di personaggi.
Perché, sì, la figa di qua e la figa di là, ma la figa non è il contenuto principale del video: il contenuto principale del video è il pubblico del Chiosco, perfettamente caratterizzato dai due creator. Il Chiosco ha messo al centro del messaggio il target stesso del messaggio. E questo diventerà uno dei trend della comunicazione glocale almeno fino a questo inverno: puntare sui ‘personaggi’ per veicolare un prodotto o un messaggio.

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Cesena Curcio Coscienza Parallela

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“Ha fatto quasi 30 anni di galera, è uno dei pochi ad aver pagato per ciò che ha fatto” (F. Biagioli su Renato Curcio, Il Resto del Carlino, 22/07/2016)

Questa sera, al circolo Arci Magazzino Parallelo di Cesena, Renato Curcio leggerà il libro che ha pubblicato nel 2015, L’impero virtuale sul tema della colonizzazione e del controllo digitale.
L’opinionista e digital influencer locale Fabrizio Faggiotto, dal gruppo La Cesena che vorremmo, si è interrogato questa mattina sulla “leggera inopportunità di tale iniziativa.

IPERREALTÀ DELLA NORMALITÀ
La dichiarazione di Francesco ‘Biagino’ Biagioli sulle motivazioni dell’invito a Curcio e la sua ‘difesa’ all’evento sono un autogol clamoroso mediatico e concettuale: aver fatto 24 anni di galera non dà diritto di parola. Non è un valore aggiunto. Essere un ESSERE UMANO dà diritto di parola, in un libero stato di diritto: semplicemente. Aver pagato per un reato commesso non eleva rispetto a chi non ha pagato, semplicemente riporta ad uno stato di normalità – purtroppo questo messaggio, nel Terzo mondo in cui viviamo, non passa, e spesso la “normalità” diviene “straordinarietà” e quindi 20150321184722!Curcio_processo copiaviene esaltata –, forse con un po’ di coscienza in più di se stessi, dato che si è vissuti forzosamente per anni filtrati da altri.

A questo punto si torna alla questione di merito dell’azione principale cui dovrebbe portare un sistema carcerario: non dovrebbe nobilitare, non dovrebbe ripulire, non dovrebbe punire. Non primariamente. Primariamente dovrebbe reinserirti nella società. Anche attraverso il castigo, è evidente.
Nel momento in cui viene scontata la pena, per quello che mi riguarda, si dovrebbe essere abili al reinserimento in società. Reinserimento che potrebbe prevedere anche una lezione sulla comunicazione digitale globale e i suoi pericoli. Dopotutto Curcio viene da quel campo di studi, peraltro in un’Università che era all’avanguardia in quel periodo: un concetto che ritornerà in seguito.
Detto questo, a domanda, rispondo.
Q: “Non vi sembra leggermente inopportuno?”.
A: “No”.

PERSONE v. CONTENUTI
Uno ha libertà di scelta: se è interessato ci va, se non è interessato – per qualsiasi motivo, fosse anche di pregiudiziale politica –, no.
Altra questione è un’analisi delle persone e delle ragioni che gravitano e decidono intorno alla realtà del Magazzino Parallelo… ma non credo dovrebbe essere una discrimine il processo alle intenzioni: non prima di aver valutato il prodotto. Fosse così dovrei togliere il saluto a chiunque collabori con realtà che non considero limpide rispetto alla mia considerazione. Ma il mio primo pensiero corre sempre ai contenuti prodotti.

Perché, in ultima battuta, è questo che bisognerebbe cercare: contenuti.
E penso che Curcio possa darne.
Scevro dalla sua storia umana e personale, che non mi affascina, non mi impressiona e, anzi, mi mette solo grande tristezza e pietà addosso pensando a Giralucci e Mazzola – rabbia no, credo si esaurisca proprio nel momento in cui si esaurisce il suo processo di riabilitazione, perché ho accetto lo stato di diritto, le sue regole e i suoi percorsi –, Curcio sa di cosa sta parlando, e lo dimostra da anni.

COMPROMESSI
Si sceglie se quel contenuto va preso, oppure no. Ma non credo se ne possa discutere la sua opportunità o meno. Non senza essere scesi a compromessi con la storia di quegli anni. Non senza aver cercato di capire il momento storico-politico e lo scenario e il tessuto sociale in cui Curcio si muoveva.
Francesco Cossiga nel ’91 aveva introdotto un dibattito importantissimo, come al solito con metodologie sbagliate e quindi svalutandolo, ma che è sempre stato il cardine della sua Presidenza: a un certo punto dobbiamo confrontarci con il nostro passato storico, politico e intellettuale e fronteggiarlo (e in tal senso sarebbe da rileggere la sua proposta di nuova Costituente, e proprio in questi giorni sensibili bisognerebbe riconsiderarne l’opportunità). Ora, lui proponeva la grazia per Curcio – peraltro con termini completamente extracostituzionali e seminando un casino politico incredibile come solo lui sapeva fare –, ma al di là dell’inopportunità – che è come tale perché si profila empirica andando contro la Costituzione, in quel caso, e per questo “inopportuna” quando proposta da un Presidente della Repubblica, giusto per riconsiderare i concetti di opportunità e inopportunità –, il problema posto rimane: fare pace con il nostro passato.

PASSO SUCCESSIVO
Poi mi guardo intorno. Chiudo gli occhi. Ascolto chi parla. Apro gli occhi. Chiudo le orecchie. Leggo chi scrive. Non voglio distrazioni.

“Curcio non pensava certo al terrorismo quando era qui. Perlomeno, non essendoci la telepatia, nessuno aveva modo di supporlo. Io poi non lo ricordo nemmeno” (F. Alberoni, La Repubblica, 28 aprile 1984)

E mi viene in mente il prof. Francesco Alberoni che sostiene da sempre di non essersi accorto del ’68 perché Curcio avrebbe avuto “una faccia iimage copia.jpgnterna che mostrava il meno possibile”, dunque difficilmente intelleggibile durante gli anni del suo rettorato a Trento. Questo mentre il ragazzo sgambettava i professori dalle scale e appendeva striscioni in facoltà sulla S O C I O L O G I A un anno prima che lui arrivasse a
governarla. Evidentemente Alberoni non era al corrente dei gruppi di studio di Università Negativa dove si studiava il marxismo di Raniero Panzieri e tante altre cose che, ora, definiremmo indie.
Ecco. Io ho sempre pensato questa cosa.“Delle due, l’una” [cit.]: o Alberoni è stato molto distratto, o abbiamo una dissennata tendenza a farci prendere in giro.

Distinguiamo i nemici, forse.
E non ce ne dimentichiamo, senza dubbio.
Forse sarebbe ora di imparare a riconoscere i falsi amici.

© Gian Piero Travini

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QUESTO MIO CUORE

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“Che succede, nonno? Perché piangi?”.
“Non mi ricordo più dove abito”.
“Ma và, và. Adesso ci mettiamo tranquilli e troviamo dove abiti, va bene?”.
“Ma te sei quello del calcio? Quello della Buonanotte? Ma dove sei finito?”.
“Sai nonno che certe cose non me le ricordo nemmeno io?”.

Sant’Egidio non è Bruxelles. Non è Roma. Non è Cesena. Sant’Egidio non è nemmeno il Granducato di Case Frini. Sant’Egidio è una succursale delle Vigne, costruita su terreni coltivabili di un pugno di proprietari terrieri che poi si sono fatti costruire strade e servizi dal Comune di Cesena. Sant’Egidio è meno che un quartiere e più di un vicinato. A Sant’Egidio di notte senti amplificato come se fosse sotto casa tua il karaoke notturno del Megusta, là dalle concessionarie. A Sant’Egidio c’è il figlio della sarta che torna a casa cantando al mattino, brillo… gli dici che hai sonno, dall’altra parte della strada e lui si scusa pure. E ti dice che ha bevuto un po’ ma che è contento. E tu gli vorresti dire che hai bevuto anche tu, ma che non sei contento niente niente, ma fare terapia quando lui ha ancora una Moretti da .66 in mano non è proprio l’ideale.

Non si decide il destino del mondo, a Sant’Egidio. Non esplodono bombe. Non ci sono camion che passano sulla folla. No.
A Sant’Egidio un nonno si perde, tu lo aiuti a ritrovare la strada, e lui ti fa pure la pugnetta che non scrivi più. Non passano camion, quindi tocca portarlo a casa. Incontro sua figlia… Dice che scappa sempre, abita poco lontano. È un camminatore, non vuol fermarsi. Non sembra riconoscermi, quando si allontana.

È Sant’Egidio, me ne rendo conto.
Lei è a Bruxelles a fare cose meravigliose, io raccatto vecchi tifosi del Cesena per strada perché chi li bada non chiude il cancello.
A Nizza uno stordito gioca a Carmaggedon in versione inshallah, qui tolgono i lecci davanti alle biblioteche.
In Europa si corre il rischio, ogni istante, di una deriva fascistoide del tessuto sociale di maggioranza, e a Cesena si fa muro contro muro tra ragazzi per un tizio che legge Manzoni.

Sono miserie diverse, lo so.
Ma sono anche nobiltà diverse.
E lo capisco che dovrei provare cordoglio per tutti i morti di tutte le stragi. Di tutto il mondo.
Ma non ci riesco.
Questo mio cuore è troppo piccolo per sentire tutto.
Questi miei occhi sono troppo distratti per vedere tutto.
Questo mio fegato è troppo gonfio per stare in mezzo a tutto.
Lascio il mondo intero a chi ha scelto di difenderlo. Di combatterlo. Di governarlo. Di salvarlo.
Lascio il mondo intero agli altri e mi tengo Sant’Egidio. E i nonni che si perdono in via Madonna dello Schioppo.
Lo so, è poco. Ma questo è quello che riesco a fare.
Mi posso curare solo di poche cose alla volta. Troppo poche. Ma lo faccio fino in fondo. Sempre.

Sarei una persona più bella se potessi commuovermi per i più di 300 a Baghdad la scorsa settimana. Sarei incredibilmente social se manifestassi il dolore per quello che è successo ieri a Nizza.
Ma la verità è che non sono una bella persona. La verità è che non posso farmi investire da quello che è diventato new normal.
La verità è che qualcuno deve guardare anche in mezzo a via Madonna dello Schioppo, mentre tutti gli altri piangono per il mondo.
Io posso fare la differenza solo in via Madonna dello Schioppo. Non sono buono a fare altro. A volte mi sento un pezzo di merda inetto, è vero.
Lo so da solo. Non c’è bisogno di leggerlo il giorno dopo ogni strage. “Ai morti in °paese a caso parecchio lontano dall’Italia° non ci avete pensato l’altro giorno: ipocriti”.

Io non lo so se sono ipocrita.
So che certe volte non sono proprio in grado di affrontare il male. E piuttosto ci faccio un commento cinico sopra.
Devo pur difendermi anche io dal male…
Questo mio cuore è troppo piccolo anche per quello, forse.

© Gian Piero Travini

La foto è un estratto di un lavoro di Francesco Menicucci, un caro amico che scatta a Milano

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WE HATING CALCUTTA

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Calcutta
legge e reinterpreta i Promessi Sposi in trasferta a Cesena il 27 luglio.
Carneade HYPE… chi era costui? Tra Twitter e Facebook è delirio per un reading in un locale, il Tamla, che al massimo terrà una trentina di persone. E proprio nei giorni del Rockin’1000 atto secondo.

SCENE DA UN MATRIMONIO CHE S’HA DA FARE
L’idea viene a Cesare Biguzzi – enfant prodige del Vidia Rock Club di San Vittore che questa volta droppa la bombetta per i fatti suoi –, a Giacomo Zani e Elia Bertolaso a chiusura della rassegna WeReading che, da giugno, porta al Tamla diversi lettori che si confrontano con autori come Calvino, Rilke e Carver: dopo gli amici di sempre che si ‘immolano’ uno dopo l’altro – in una città che sembra non vedere alternative alle eccellenze Mercadini e Nicoletti in campo racconto orale –, vuole chiudere col botto. E se qualcuno per provocazione aveva letto Brondi, lui vuole solo litigare osare.
Ferma Calcutta a Savignano sul Rubicone durante il Rock È Tratto. Gli spiega il progetto per dare una mano alle ragazze del Tamla – locale tutto al femminile – che per un po’ di casino di troppo si erano viste mettere sotto sigillo l’impianto audio dopo una serata. Manco ai tempi di Radio Londra. Intera stagione a rischio dal punto di vista di impresa, volemossebbéne e poi Calcutta “preso benissimo” risponde sì, anche perché in diverse occasioni si era detto particolarmente affascinato dalle vicende di Renzo e Lucia:
il che spiega buona parte delle mie dormite su certi suoi pezzi molte cose sul suo storytelling.
Calcutta. Storytelling. Eder. Titolare.

L’INNOMINA… BILE
Il 4 luglio l’annuncio della data del 27. Dalla scSenza titolo-3ena romana partono già le proposte di trasferta in massa , la balotta bolognese dello stesso Calcutta pronta con macchinate e pure da Padova si iniziano a controllare le mappe di Google per arrivare in Romagna. Ma sulla rete non mancano gli haters, quelli che proprio Calcutta non lo tollerano,
e iniziano gli sfottò online, tra meme e critiche più e meno pesanti. #Calcutta entra in topic. Mirko E Santini da DeerWaves dice la sua, sperando che magari qualcuno lo chiami per un djset pre-show gli voglia bene sul serio.
Edoardo non ci sta: il giorno prima brutte scene proprio a Roma, dove si becca un’invasione di palco da parte di uno del pubblico e minacce di violenza dopo il concerto… insomma, il giovane è un po’ provato e molla.

“Mi era da subito sembrato carino partecipare e in qualche modo dare una mano in questa situazione di sfortuna. Dimenticavo però che il mondo è pieno di astiosi. Quel giorno me ne andrò al mare” (E. D’Erme, Rolling Stones.it, 4 luglio 2016)

Poi l’allarme rientra e mercoledì scorso Biguzzi conferma che Calcutta il 27 sarà in città per confrontarsi con Alessandro Manzoni. Lascia pure che l’odio si diffonda: basta che se ne parli, anche perché la polemica sembra quasi costruita ad hoc dall’amministratore della pagina ufficiale dell’artista per trollarci cenere alla cenere, polvere alla polvere, HYPE all’HYPE.

 “Sarebbe come se a Manchester Liam Ghallagher leggesse Shakespeare: l’icona del pop inglese che legge un’altra icona del pop inglese, in tempi differenti. E, obiettivamente, Calcutta è l’icona del pop italiano, in questo momento, esattamente come lo è stato Manzoni ai suoi tempi” (C. Biguzzi)

LA HAINE
Qualche considerazione.
L’unico modo per comprendere i limiti della musica espressa da Calcutta è andarlo ad ascoltare dal vivo. Suoni completamente sballati, arrangiamenti incerottati, mancanza di sinergia tra la band. L’hating del fan medio di Calcutta – che è difficile da individuare, considerata la trasversalità del disagio di chi trova le gelaterie bio chiuse delle piccole cose in Italia – contro ‘Cisco’ Sarsano non è casuale: in mezzo ad una band non composta da musicisti nel senso reale più stringente del termine può risultare irritante. Perché, sì, anche il fan di Calcutta è hater e, di sicuro, non segue la diteggiatura di un basso.

“Calcutta è un talento a livello di songwriting” (R. Sinigallia)

Io sono della scuola che se un film di merda ha una sceneggiatura aderente alla realtà okrimane un film di merda con una sceneggiatura aderente alla realtà (Blackhat di Michael Mann) e non si trasforma in un capolavoro. Calcutta ribalta questo concetto e ridescrive la realtà ad uso e consumo del nuovo pubblico creato a tavolino da Contessa che risponde in base nazionale alla scena romana: nel 2016 basta il songcopywriting. E allora forse un film di merda con una regia perfetta non è solo un film di merda con una regia perfetta (Blackhat di Michael Mann).

Inabilità Poca attitudine al canto live, cazzeggio bresco, gente che scende dal palco, si fa una birra, torna sul palco… si ritorna semplicemente alla base del raccontare di chi non ce l’ha data per trovare chi ce la darà.
La differenza è che la tolleranza alle birrine è calato di molto negli ultimi anni. Esattamente come la qualità della struttura musicale cantautorale. Reggiamo di meno…
Accontentiamoci. Anche in un reading. Anche con Manzoni.
Accontentiamoci.
Verranno tempi migliori?.
Fino a che l’odio non diverrà sfanculamento e Calcutta non sarà vittima del ‘paradigma di Dente’ (nascita artistica per presenza di HYPE, morte artistica per assenza di HYPE), tocca zuzzarcelo. Lui e i suoi prossimi epigoni.
E prima di dire che sta per fare un torto a Manzoni riflettiamo prima sul torto che ci ha fatto Manzoni a scrivere quel libro di merda i Promessi Sposi, poi sul fatto che Cesena “non è il lago di Como ma c’è un clima fantastico”. L’idea dell’artista social è che ci sia un risvolto social: magari non saprà leggere, ma conosceremo della bella gente.

Io andrei anche solo per Tania Massi.
E quando verrete al Tamla e la conoscerete, capirete perché.

© Gian Piero Travini

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BRAND ROMAGNA X

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“ … tanto tempo fa, in una Romagna lontana lontana… ”

Il concetto di Brand Romagna ha la stessa volatilità del concetto di Wellness Valley. O viene tenuto alto, oppure si sgonfia e rimane solo nella mente di chi lo ha concepito.
Questo non per sua natura ‘debole’, ma per la particolare forma che in Romagna queste idee hanno preso. Perché come Wellness Valley non è un ente fisico, non è un luogo che si vede, bisogna iniziare anche sul Brand Romagna a ragionare in termini di approccio, di esperienza di vita. Di sensazioni. Anche perché c’è chi si emoziona guardando il cartello che annuncia la valle del benessere al casello dell’autostrada come la sorridente influencer Maria Vicini, mentre magari mio fratello si domanda se i cipressi della Technogym siano finti.

Quanto a me, guardo la mia città dall’alto del Monte, chiacchierando di tango con strane e diafane creature musicali, e quando vedo lo stabilimento di Technogym nel mezzo della campagna di Romagna capisco che si debba prendere molto seriamente un’idea per trasformarla in posti di lavoro e indotto, altrimenti si rischia solo di snaturare ciò che siamo.
Prima che lo chiediate: il Brand Romagna deve passare necessariamente da Technogym perché Technogym è Romagna. Come deve passare da Orogel, da Confcommercio, da Fiera, dalle nostre amministrazioni.
E da noi stessi.

MAIEUTICA DI ROMAGNA
Una volta andava di moda far figli. Ora va di moda comprarli all’estero, tipo duty free in aeroporto. Come le idee, a ben pensarci.
C’è bisogno di aiuto nel primo caso, c’è bisogno di aiuto anche nel secondo. Serve qualcuno che aiuti a far nascere un’idea, a svilupparla, magari partendo 10960205_1525843507677788_2203725867985088269_o copia.jpgda concetti anche divertenti o goliardici come la moda Centoxcento Romagnolo di Marco Bianchi per creare qualcosa di più grande.
Per il Brand Romagna parte tutto da Annalisa Raduano.
Annalisa Raduano è il vicepresidente vicario della Camera di Commercio di Forlì-Cesena. E la fortuna è tutta della Camera di Commercio, perché Raduano è un osso duro. È una romagnola, come non se ne incontrano spesso nate dopo il ’70. Vuole sempre aver ragione lei, non ti lascia mai l’ultima parola, se non le va bene qualcosa ti lascia lì e si arrangia da sola. Che con me hai vita breve, perché sono ancora peggio… a meno che tu non abbia ragione. E lei sbaglia poco, poco, poco. Ed è sempre lei a proporre il brand il 7 febbraio scorso, memore dell’esperienza di Terre Di Romagna, in una riflessione che desse una pronta risposta al Food Brand Marche, presentato in tempo per Expo 2015. Lo stesso giorno l’advisor Lorenzo Tersi, uno che vede le cose prima, parla di diversificazioni del brand, puntando anche sul turismo. Per un mese l’idea tiene banco: i giornali e gli opinionisti come Davide Buratti su RomagnaPost hanno una loro idea, si muove Magni di PrimaPagina per la comunicazione, Piraccini di Orogel parla di e-commerce, ConfCooperative vorrebbe coinvolgere l’ente Fiera, Zambianchi c’è.
In seno alla Camera di Commercio l’idea matura in un paio di tavoli, come alla Settimana Del Buon Vivere 2015, poi si volatilizza… In realtà cambia solamente nursery e viene cullata a Roma.

… fino a che ‘Cap’ Corrado Augusto Patrignani a Vox Populi qualche giorno fa non si mette alla testa di un nuovo movimento brandizzante, con la benedizione dell’on. Sandro Gozi, che il Brand Romagna lo ha sempre coltivato, anche in forza dell’amicizia e del rapporto stretto intessuto proprio con il già citato Tersi: la ‘culla’ romana, appunto.

“Siamo in buone mani e spero che il presidente Patrignani, ideatore del Brand Romagna, abbia tutto il sostegno che deve avere, non solo morale ma anche politico” (on. S. Gozi a Vox Populi, 4 marzo 2016)

Il sostegno politico invocato da Gozi c’è già, basta tornare con la mente al 23 febbraio 2015, quando lo stesso sindaco di Cesena Paolo Lucchi si era fatto promoter politico di questa iniziativa.
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Quindi l’appoggio politico c’è. Le infrastrutture ci sono. Gli enti ci sono, e il ‘flacone’ Fiera di Cesena non potrebbe essere più adatto. Se nel 2015 c’erano gli stakeholder ci saranno anche oggi. Ora serve fare una mappa dei brand di Romagna, perché altri stanno portando avanti questa idea. Che stia a ‘Cap’, ultimo ‘padre’ dell’iniziativa, mappare le risorse e metterle veramente al tavolo di dialogo?

MAPPE DI ROMAGNE
Brand di Romagna. O di Romagne.
Tante Romagne. Troppe Romagne, per certi aspetti. Mai abbastanza, per altri. La Romagna della moda calzaturiera, del food, del wellness, del turismo – quella di cui si fa accenno anche a Vox Populi –, tutte viste come se fossero elementi disgregati l’uno dall’altro quando in realtà dovrebbero essere tutti raccolti sotto un unico ‘ombrello’ di opportunità. E tanti brand.

Come il modello di esportazione turistico ROMAGNA presentato dal Presidente della Regione Bonaccini a Rimini il 26 febbraio scorso, che ritorna ad aggredire il mercato tedesco, arrivando a studiare linee ferroviarie dirette Rimini-Monaco. Ecco allora il tema del viaggio, qualcosa sottovalutato forse da chi continua a stracciarsi le vesti per lo spostamento di Macfrut da Cesena a Rimini senza considerare la logistica degli spostamenti nel 2016. E allora ben venga la proposta di immagine alla Germania, con tanto di sito in tedesco dedicato, ma poi si inizi a guardare ai mercati dell’Est, con analoghe proposte sull’internet in polacco, russo, cinese e giapponese.
Una questione di spostamenti, di coordinamento… e di Regione, che ultimamente sembra muoversi apparentemente ‘slegata’ da certe dinamiche territoriali dell’entroterra.

La differenza, almeno rispetto a un anno fa, è che la causa del Brand Romagna è stata sposata da un network forte come TeleRomagna e da un giornale altrettanto forte come Il Resto Del Carlino, e quindi anche la visibilità verso l’opinione pubblica ne risulta decuplicata…
Ecco allora che questa diventa la tempesta perfetta da sfuttare, partendo magari proprio dal territorio cesenate. Insieme.
Perché se un’idea è buona, non importa tanto chi se ne prenderà la paternità.Senza titolo-3

© Gian Piero Travini

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IL CAPPELLETTO SE NE FREGA

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“Questa minestra per rendersi più grata al gusto richiede il brodo di cappone; di quel rimminchionito animale che per sua bontà si offre nella solennità di Natale in olocausto agli uomini” (P. Artusi, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, 1891)

MIA MAMMA VOTAVA DOZZA MA ERA DELLA DC
Vaglielo a spiegare a mia mamma che io preferisco i cappelletti ai tortellini.
Fiera di via Indipendenza, bestia maritata in San Paolo di Ravone, l’animale madre bolognese non può accettare che il figlio degenere si romagnolizzi e snobbi il turtléin di Bologna – per lei ancora fatta di funivie per San Luca e di stagioni irripetibili di Bartali e Niccolò Carosio, a dispetto del fantasma di città che trovo ogni volta che ci torno – in favore del suo fratello bastardaccio e contadino, il caplét all’uso di Romagna. Dice che è un controsenso. Io le faccio notare che essere DC e aver votato Dozza… beh, quello è un controsenso. “Votavo il Sindaco, non la lista: vai a farti un giro”: lo faccio, pure bello lungo, poi torno e le rendo noto che il sindaco si elegge direttamente solo dal 1993 e che Dozza era già morto da diciannove anni. Ma lei non se la ciuccia, e va a giocare a burraco, che le è salito un Ventennio come non mai: poveri i culi che pelerà al tavolo verde. Tra l’altro ora gioca al Nuovo Foro Annonario e io ho sempre paura che rimanga intrappolata nel limbo spazio-temporale del secondo piano, ma finora è andata di lusso e se l’è sempre cavata.
Però prima di uscire di casa mi guarda. Qualcosa le si è rotto dentro. Di nuovo. Sono una continua delusione. Senza posto fisso. Senza prospettive matrimoniali. E ora ho snobbato pure i tortellini.
Ma come glielo posso spiegare che è una questione di filosofia politica? Che è una scelta ideologica? Che il territorio non c’entra nulla, ma c’entra la terra e chi la calpesta? Come glielo posso spiegare che ho scelto ardendo di passione con lo spirito e non con lo stomaco?

La mia è una dichiarazione ideologica: il cappelletto è la mia battaglia.
E in casa mia la cucina è sempre stata un motivo di politica. Perché la fiorentina è di sinistra – a maggior ragione ora che stentiamo a permettercela – mentre la cotoletta era di destra.
Per non parlare del cappelletto contro il tortellino, la vera disfida culinaria… con buona pace di Francesco Nuti.

L’ANARCHIA IN CUCINA E L’ARTE DI SBATTERSENE DI ARTUSI
Pellegrino Artusi. Già. Mica che puoi contraddirlo. Non è un cuoco ma scrive IL manuale di cucina per eccellenza. Che è un po’ come Brian May che scrive l’assolo di Innuendo ma deve farlo suonare a Steve Howe degli Yes con la propria Gibson Chet Atkins perché il 5/4 lo preoccupava parecchio. Solo che Brian May ha anche una laurea in astrofisica, mentre Pellegrino aveva i piedi ben piantati nelle sue cucine… nomen omen, e ci ha regalato pure la Ricetta No. 7: Cappelletti all’uso di Romagna.
180 grammi di ricotta; mezzo cappone cotto nel burro, sale e pepe; un uovo e un rosso e un po’ di noce moscata. E brodo di cappone. Questa la formula magica dell’ambrosia della terra del Passatore… oh, fortuna poterne godere.
Ma questo è il cappelletto di come lo faceva Artusi. Come lo si può mangiare da Roberto ai Maceri, in via Roversano a Cesena, che ci si va ad occhi chiusi, come in qualsiasi locale che tenga un pacchetto di sigarette dietro il bancone per offrirne a chi si vuole fare una fumata subito dopo il caffé e ne sia poco fornito o non voglia dar fondo alla riserva personale. Però c’è anche quello della Cerina a San Vittore che è molto buono, in particolare asciutto, ma non solo. Ma parliamo di due piatti diversi. C’è anche quello della mamma di mia cognata. Ma parliamo di tre piatti diversi, perché lei il brodo lo fa alla faentina, con la galeina. C’è anche quello di qualsiasi altra famiglia di Cesena. Ma parliamo di n piatti diversi. Di cuoche diverse. Di mondi diversi. Di sogni diversi.
cappellettiIl caplét è come il ‘duro’ di Romagna: testardo, crapulone, gran compagnone individualista, più romagnolo di ogni altro romagnolo, certamente più romagnolo di quelli dell’Oltresavio, menefreghista, individualista, romantico, leale come la Polare, accogliente come un bicchiere di Sangiovese. E anarchico. Soprattutto anarchico.
Nonostante il canone di Artusi, il cappelletto se ne frega. Ogni famiglia fa il suo cappelletto, talmente modificato – dalla puntina di manzo nel ripieno al raviggiolo al posto della ricotta – da arrivare fino all’apparente bestemmia del cappelletto di sola carne al Ponte Rosso di Sogliano al Rubicone. Poi tu dillo alla Bettina che non si fa così il cappelletto… lei ha quasi 80 anni ma è ancora capace di prenderti a calci e di non darti nemmeno il lesso dopo.
Il cappelletto è la Romagna. Che dà il giro a tutti, ma non è capace di fare sistema.
Il cappelletto siamo noi quando bigiavamo a scuola per far sciopero. Chi per giocare al bowling di Ronta, chi per limonare al parchino, chi per bersi birre calde dimenticate nello zaino, chi perché ci credeva davvero.
Io mangio il cappelletto perché ci credo davvero. E perché spero che mi porti fortuna quando si tratta di limonare al parchino.

IL TORTELLINO… IL TORTELLINO È FASCISTA… 
… e se non lo è, poco ci manca.
È autoritario, di stampo militarista, così anche Hannah Arendt può sedersi e mangiarlo serena, in una delle tante osterie o pastifici di una certa Bologna che ora non è più, soffocata da un post-Concerto del Primo maggio perpetuo, ma senza musica di commiato. Il tortellino è ordine, è canone, ti permette di sgarrare, ma poi ti punisce.
Se uno fa un cappelletto diverso da un altro è uno scambiarsi ricette per farlo più buono, fare a gara a quale sia più buono, litigare su quale sia più buono, smettere di parlarsi perché si è convinti di farlo più buono.
Se uno fa un tortellino diverso da un altro, uno dei due l’è propri un imbezel. O lo sono tutti e due, se non l’hanno fatto come va fatto. Viene anche allontanato dai suoi cari, trattato come un malato contagioso e possibilmente bandito dai luoghi pubblici, che se passa vicino al Nettuno quello si volta dall’altra parte scuotendo la testa.

Il tortellino è standardizzato, convenzionale. Non mancano le disfide, ovviamente, ma si giocano sul filo della noce moscata nel brodo, con due correnti di pensiero piuttosto agguerrite che nemmeno al Bar Sport di Benni.
E anche nel tortellino Pellegrino da Frampula ci ha messo i baffi… ma, si sa, Bologna è Università, e non accetta lezioni da nessuno… dal 1891 si passa direttamente alla ricettaconfraternita made in Castelfranco Emilia della Dotta Confraternita del Tortellino: 3 uova e 3 etti di farina per la sfoglia; 300 grammi di lombo di maiale rosolato al burro, 300 grammi di prosciutto crudo, 300 grammi di mortadella di Bologna, 400 grammi di Parmigiano-Reggiano, 3 uova, 1 noce moscata per il ripieno; 1 chilo di doppione di manzo, mezzo cappone ruspante – che magari è meno “rimminchionito” di quello che pensa Artusi –, sedano, carota, cipolla e sale. E qui ci scappano 1000 tortellini. E ci scappano il 7 dicembre del 1971… 23 giorni dopo verrà approvata la legge 1024 sulla tutela della maternità, che non è una brutta cosa per chi vuole trovar sempre un piatto fumante di turtléin in brodo.
Prendetene e mangiatene tutti… e così sia, senza sgarrare, perché il tortellino non accetta sgarri. Gli sgarri son roba per modenesi, su.

LA PASSIONE E LA POLITICA. E LA PASTA
… e se poi iniziassi a parlare di tortellini in asciutto sarebbe peggio della vigilia della Bolognina in casa.
Ammetto di aver dissacrato più volte il cappelletto, arrivando pure a metterlo sulla pizza – colpa della pizzeria Ponte Vecchio di Elio e Ivan, a Cesena –, ma, nonostante lo consideri un gradino sotto a livello filosofico, non mi sono mai permesso di far del male così al tortellino. Proprio perché non lo sento così mio come il cappelletto.

Sono le deformazioni naturali di un figlio di emiliani nato in terra di Romagna. Sono le evoluzioni di pensiero di chi ha un cuore di brodo, con giusto un po’ di midollo e tanta noce moscata, con il sale che è sempre troppo e allora tocca tirarlo.
Si sbaglia. Si corregge. Si sbaglia. Si corregge.
La vita è un brodo matto.
E alla fine non credo poi che conti tanto se il cappelletto sia anarchico o il tortellino fascista…
Conta ricordarsi come si preparano. E da dove vengono.
Che poi è lo stesso posto da dove veniamo noi.

ombelico di venere

© Gian Piero Travini

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L’UOMO CHE NON C’ERA

Paolo

Paolo, Paolo Pa, Paolo Maledetto/Ma perché non l’hai, perché non l’hai detto? (F. Di Giacomo e V. Nocenzi, Urgentissimo, 1980)

IL SOSPETTO
Non poteva esistere veramente.
Un giornalista che nel corso di una carriera di più di quarant’anni ha attraversato tutti i potentati senza non rimanerne mai scottato, ma anzi spesso ricoprendo il ruolo dell’incendiario – che fosse per caccia alle streghe, che fosse per dar alle fiamme campi in disgrazia, che fosse perché il fuoco non è poi tutto questo padrone benevolo –, che ancora nonostante la pensione e il ridimensionamento del suo ruolo editoriale a collaboratore di lusso per Il Resto del Carlino e Teleromagna fa paura a potenti e non, non poteva esistere veramente.
Senza titolo-1Non a Cesena, almeno, dove secondo molti addetti ai lavori e semplici cittadini è il giornalismo asservito al potere e non viceversa. Però capita, ogni tanto, che anche i sogni e le leggende prendano vita… deve essere appunto il caso di Paolo Morelli, decano dei giornalisti tout court nel cesenate, voce ingombrante e imponente e penna ad inchiostro grasso che negli anni ha saputo tessere una trama di rapporti e contatti tale da rimanere sulla cresta dell’onda anche senza reale necessità. Anche senza scrivere, o quasi. Perché a un certo punto anche dai sogni ci si risveglia.
Difatti abbiamo scoperto mercoledì su una nota testata locale che Paolo Morelli non è mai esistito.
E per fortuna. Sai mai che il giornalismo potesse esprimere fuoriclasse, una volta ogni tanto.
E quindi, state pronti, la notizia è che Hera potrebbe aver sversato LSD negli acquedotti e che Paolo Morelli potrebbe non essere altro che una colossale allucinazione di massa.

IL FANTASMA DEL RIDOTTO
Lunedì sera le minoranze consiliari si riuniscono per discutere del Quartiere Novello. La serata viene moderata dall’allucinazione Paolo Morelli. Un’allucinazione talmente solida e vigorosa che viene pure impressa in diverse memorie SD di fotocamere e videocamere, comprese quelle del Resto del Carlino, pubblicate l’indomani. Fenomeno paranormale incontrollabile, Poltergeist Morelli se la ride: la sala di Palazzo del Ridotto è piena ed è naturale che sia lui a condurre il dibattito, considerata la sua vis polemica nei confronti dell’attuale amministrazione.ecco
Che poi in realtà stiamo parlando di isteria di massa, tipo la storia delle Streghe di Salem – quando tutti ci siamo convinti che Winona Ryder fosse capace di recitare –: Morelli è stato un frutto della nostra psicosi e nessuno ha moderato quel dibattito.
Però abbiamo dovuto aspettare mercoledì per scoprire il nostro male sacro, perché appunto il giorno prima erano uscite foto che ritraevano l’apparizione medianica in tutto il suo rotondo splendore.

I DIECI MOTIVI PER CUI PAOLO MORELLI NON È STATO FOTOGRAFATO
Come in tutti i grandi misteri cesenati – la chiesa in fiamme di Madonna delle Rose, il cane fantasma dell’Osservanza e i prezzi della Michiletta – Paolo Morelli potrebbe avere un fondo di verità in sé. Insomma, questo fantomatico giornalista potrebbe esistere veramente… ma questo comporterebbe dei ragionamenti sul perché la sua immagine non sia stata impressa nelle pagine della nota testata locale che ha pubblicato le foto senza di lui.
Dunque ecco le possibili spiegazioni alternative:
► Paolo Morelli non esiste
► È dimagrito moltissimo
► È stato mangiato dal consigliere Casali, tra i relatori della serata
► Gli scappava una Maratona Alzheimer proprio in quel momento (poi si è scordato di tornare)
► Ha fatto lui stesso le foto
► È intrappolato nel limbo spazio-temporale del secondo piano del Nuovo Foro Annonario, da cui riesce a proiettare solo immagini e suoni che si manifestano casualmente
► Non voleva far parte della notiziaAvadvWhrUwHkkX76buj2-YjzEFhxO2AgRLba_VwQOgKp (2)
► È in una cella frigorifera dell’Orogel e lo scongeleranno solo alla vigilia del Superfrustino 2016
► È stato preso in ostaggio dall’assessore Dionigi che lo tiene in vita solo per fargli aggiornare CesenaDialoga
► Da un po’ è al largo del mare Adriatico, area Cesenatico

“A parità di fattori, la spiegazione più semplice è preferibile” (William of Ockham, XIV sec.)

In effetti ci sarebbe un undicesimo motivo, intuibile grazie agli insegnamenti dello strano frate francescano inglese di cui sopra, ma vorrebbe dire che dei suoi colleghi giornalisti avevano un motivo per non far apparire la sua immagine.
È pratica per alcuni fotografi togliere i moderatori da una conferenza nel caso questi non c’entrino nulla con la conferenza stessa. Come attitudine ha anche un suo senso, specie se tali moderatori siano più un richiamo che figure professionali ben definite ma, nel caso del collega Morelli, sarebbe stata un’operazione completamente diversa.

“Giornalisti e editori sono tenuti […] a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi” (Legge 69/1963, art. 2).

È arrivato anche il richiamo informale del consigliere nazionale dell’OdG Michelangelo Bucci sulla vicenda, proprio TIPOcitando l’articolo 2, quindi anche esperti di giornalismo e comunicazione si sono accorti dello strano caso del ‘Fantasma del Ridotto’. A supporto della teoria dell’esistenza del Morelli e della sua ‘cancellazione’
mediante Photoshop esistono poi delle manipolazioni digitali delle immagini, fortemente contrastate ed esposte, che mostrerebbero la cancellazione mediante la sovrapposizione dpersistenti un quadratino di sfondo poi allungato e ingrandito per coprire l’ingombrante editorialista – e i microfoni davanti a lui, della serie “il timbro-clone, questo sconosciuto” –, di cui rimarrebbe comunque una traccia persistente in un angolino.

Tuttavia, e non me ne vorrà Michelangelo, ritengo ancora molto probabile l’ipotesi principale, ovvero che Paolo Morelli fosse il prodotto di un’isteria di massa. Oltretutto ci sono milioni di foto dove Paolo Morelli non è venuto impresso, e già di per sé questa potrebbe essere una prova schiacciante a proposito della sua palese non esistenza.

EPPURE… 
Eppure a me sembra di aver conosciuto un Paolo Morelli. Mi sembra pure di essermi preso a cornate un paio di volte con lui. Roba da pesi massimi, che vi credete… se non sulla carta stampata, almeno a tavola. Mi ricordo questo barbuto rubicondo con occhiali griffati Baldinini che mi irride ad una presentazione del Cesena Wine Festival e mi prende in giro per un paio di sborracciate di troppo sul caso Campedelli. E ancora me lo ricordo accaldato mangiarsi un gelato nella redazione della Voce di Romagna seduto davanti alla caposervizio. E mi sovviene  di un Paolo Morelli al vernissage del team Androni-Sidermec al Grand Hotel ‘Leonardo Da Vinci’, armato di di GoPro, sintomo di qualcuno che sì, non vuole mollare la professione, ma che almeno ha capito che i tempi sono cambiati e si è rimesso completamente in gioco. Abbiamo parlato di cosa voglia dire ricominciare a far la gavetta e per qualche istante è sembrato quasi che fossimo sulla stessa lunghezza d’onda… l’anti-sistema irrispettoso Travini contro il Giornalismo cesenate, senza che si giocasse di retorica per mandarsi a quel paese col sorriso sotto i baffi.

Ecco, allora doveva essere proprio un’allucinazione: passi che esista un Paolo Morelli, ma un Paolo Morelli con cui io possa pure andare d’accordo proprio no!

© Gian Piero Travini

Io sostengo Maratona Alzheimer: date un occhio al Progetto 360°. Qualitativamente possiamo fare molto, insieme!

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CIVIL WAR

roba

LA  NUOVA OPPOSIZIONE
Il caso Faggiotto era solo il dito che indicava la luna, la “spaccatura tra una parte della cittadinanza e l’Amministrazione comunale”.
Il problema non è la critica online, che sia anonima o firmata, o le conseguenti risposte degli Amministratori: il problema vero, reale, tangibile, glocale è che a Cesena la critica online stessa sembra essere l’opposizione più dura al governo cittadino.

“In realtà, negli ultimi tempi, pare che commentare fatti di cronaca e politica locale attraverso profili falsi stia diventando una vera e propria moda. È una modalità che non apprezziamo, poiché riteniamo che la piena libertà di esprimere le proprie idee o posizioni politiche vada esercitata con senso di responsabilità e, soprattutto, con il coraggio di mettersi in gioco direttamente, come tutti coloro che partecipano alla vita pubblica della nostra città fanno in modo quotidiano” (P. Lucchi; Il Resto Del Carlino, 1/12/15)

In realtà, negli ultimi tempi, pare che quella vera e propria moda sia l’unica voce contraria efficace, e in parecchi se ne stanno accorgendo.
Ma dare la colpa di questa povertà diffusa di pensiero libero al partito di maggioranza o ai suoi house organs mediatici – tali o presunti –, rischia di essere uno scarico di responsabilità.
Semplicemente il libero pensiero non trova più spazio nelle vecchie forme di comunicazione politica perché non ci sono sponde nella dialettica sociale cesenate tradizionale che vogliano accoglierlo: cercando nuove vie l’anonimato diventa la nuova resistenza, la nuova opposizione.
Ma senza dialogo collettivo anche la “nuova opposizione” può degenerare.

LA SATIRA AI TEMPI DEL CANTERA
Inizialmente la scelta di Lucchi è quella di assecondare le ‘birichinate’ online di Sandro Casadei, il personaggio di fantasia creato dall’autore dietro Il Grande Fotobomber, che ha iniziato a bersargliarlo per il suo iperpresenzialismo – preciso approccio politico scambiato troppe volte per mera vanità –, mostrando Senza titolo-1pubblicamente il suo apprezzamento, arrivando pure a ‘trollarlo’ su Facebook tramite la sua pagina ufficiale, l’8 aprile 2014.
La strategia comunicativa del sindaco – in quel momento vincente –, è stata di sbeffeggiare lo sbeffeggiatore: questo è il segnale del fallimento del tentativo satirico. Da lì in poi sarà solo entertainment, a meno che non si cambi approccio.
Questo fa gioco a Lucchi sia in campagna elettorale che nei primi mesi di amministrazione, esattamente come al sindaco riminese Gnassi fece comodo la pagina Facebook ‘È colpa di Gnassi’: non è la prima volta che in Romagna si asseconda o si favorisce la satira a scopo politico.
Ma Sandro Casadei era nato per fare opposizione a Lucchi, non per facilitargli la vita, e prima o poi si sarebbe arrivati ai ferri corti, nonostante la luna di miele iniziale.

“Mi piacerebbe stringergli la mano davanti a un aperitivo, per farci quattro risate. Chi sceglie di avere un ruolo pubblico deve accettare le critiche in qualunque forma esse arrivino” (P. Lucchi: Il Resto del Carlino 14/1/15)

Meno di un anno fa.
… è che a una certa è finito il tempo dei frizzantini.

LA SOTTILE LINEA GROSSA
Sandro Casadei e i suoi tanti ‘figli’ – anonimi o meno – nascono per dar voce al loro disagio nei confronti della gestione della città. E se ovviamente il bersaglio è la maggioranza, le polveri della critica vengono accese anche dal non sentirsi rappresentati.
La frase in chiusura del capitoletto precedente non era casuale: l’espressione è una delle tante usate da Sandro Casadei per motteggiare il sindaco cesenate. Questa dialettica è entrata prepotentemente nella retorica politica locale, tanto che tutti gli esponenti dell’opposizione, prima o poi, si sono ritrovati a citare le battute e le frasi di Sandro in Consiglio comunale.

La politica che cita lo sfottò sistematicamente diventa quasi un’impostazione programmatica: in mancanza di modi efficaci per fare opposizione ci si rivolge fuori dall’arena politica, legittimando queste realtà esterne critiche.
È qui che inizia la degenerazione del messaggio percepito: l’opposizione pesca nella rete la forma – e di conseguenza i contenuti, che nella satira si  – del libero pensiero contrario alla maggioranza, trascinandola automaticamente nell’arena.
Il gioco cambia e qualcosa inizia a dar fastidio politicamente all’Amministrazione comunale: in sei anni di governo cittadino non era ancora capitato.12316494_209295666069760_5665949560431453649_n
Legandosi ai comitati di protesta per i lavori in piazza della Libertà tra settembre e ottobre – curandone la comunicazione online negli ultimi giorni prima della manifestazione finale costituendo con altri il collettivo Le Simpatiche Canaglie –, Sandro Casadei commette un errore marchiano, confermandosi volontariamente attore dei meccanismi politici: a quel punto non è più chiaro quale sia il suo ruolo e satira e politica iniziano a confondersi. Su Facebook non è più il personaggio ad intervenire, ma l’autore, che diventa personaggio di se stesso: conseguenze dell’essere parte attiva, dato che sul social Tumblr, dove non c’è interazione diretta tra persone, il modo di far satira non cambia. Scopre il fianco a critiche, forse esagerate, e l’Amministrazione può farsi valere.
Da una parte c’è la loro formale ragione – esattamente come nel caso Faggiotto –, dall’altra non si può che empatizzare con i tanti ‘satiri’ che, sentendosi abbandonati, cercano di cambiare le cose.
In un quadro di scarsa opposizione percepita, la sottile linea rossa tra satira e attivismo si inspessisce: dovrebbe essere prerogativa di un’Amministrazione comunale illuminata far notare sì la propria posizione, ma soprattutto accettare senza riserve la critica, fino a che si rimanga nella legittimità della libera espressione.

ANONIMATO DECABRISTA
La satira può prescindere dalla coerenza. La coerenza è un esercizio intelletuale, mentre la satira è un barcamenarsi in un sistema che cannibalizza l’intenzione e l’intraprendenza di pensiero.Senza titolo-4
Cesena non è esente da questo sentimento di oppressione. I tanti anonimi, satiri o semplici critici, hanno effettivamente paura, perché la “scopa del sistema” non la regge solo una persona – in questo caso Paolo Lucchi –, ma la reggono in tanti, molti dei quali non all’altezza politica di Lucchi stesso o dei suoi più stretti collaboratori.
L’anonimato a Cesena non è un bisogno innescato in tempi recenti o da una sola persona. L’anonimato a volte è una strategia di sopravvivenza: viviamo in una città dove si può fare anche critica anonima, pure sui giornali, basta che sia nella logica dello status quo, possibilmente contro chi è inviso ai tanti asserviti che popolano le piccole corti padronali di cui sopra.
Una città dove il giorno prima si scende in piazza perché si è tutti Charlie Hebdo, fino a che vige il lassismo, e il giorno dopo si condannano i pareri discordanti.

“[…] nella democraticissima Cesena, dove migliaia di persone scendono in piazza per manifestare a favore della libertà di espressione, l’unico autore che si concede satira politica di un certo livello – eccezion fatta per Roberto Mercadini – è costretto, per timore di rappresaglie, a usare uno pseudonimo. E, considerata la caccia alle streghetra i gruppi consiliari di Palazzo Albornoz, non riesco a biasimarlo. La libertà di pensiero ha un alto costo in termini personali. La satira politica è una sconfitta prima di tutto di chi la fa. E perdere fa sempre male. Quando poi vedi certe situazioni nella tua città, fa ancora più male. Nella democraticissima Cesena. Che è democratica solo quando c’è da riempirsi la bocca” (autocit.; Facebook, 11/1/15)

C’è paura. E quando c’è paura si sceglie da che parte stare. E lo si può fare anche in maniera anonima, perché in questo momento tanti non si fidano della città stessa per mostrarsi: conoscere il nome delle cose, dare un volto e una ragione alle persone diventa un’arma potente per chi esercita il potere. Perché la cultura del controllo necessita di sorveglianti e di sorvegliati.
Ecco allora che si appalesa un grande problema, a Cesena: chi sorveglia i sorveglianti?

WATCHMEN
A questa domanda – nonostante i vari censori incamminati cesenati, i Castiglia, i momentanei paladini dei diritti senza più un posto dove si gestisce la cosa pubblica – gli autori satirici cesenati non hanno saputo dare risposta: la conseguenza è la guerra civile online, dove non esiste il controllo del Partito. Ancora.
Guerra civile anonima, per lo più.
Arrivato a 32 anni, nemmeno io so quanto mi abbia giovato metterci firma e faccia fino ad oggi.
Anche se, in realtà, nei miei giorni peggiori lo so. E la risposta non è quella che dovrebbe dare qualcuno che ama così tanto il posto dove vive.

“Io faccio parte della corruzione che metto alla berlina. Sono corrotto come il cardinal Spellman. Ma io non faccio il cardinale” (Lenny Bruce)

La satira può anche essere anonima.
Basta che rimanga tale.
bruce2Ma non sono né gli Amministratori né i satiri stessi a dover discettare di tale confine: l’opinione pubblica ha in sé l’unico parere che conti.
Per quanto mi riguarda, se anche una sola vignetta di Sandro Casadei avrà spinto qualcuno a migliorare la condizione della collettività, avrà vinto a prescindere dagli errori che potrebbe aver commesso.
Ognuno sceglie ogni giorno da che parte stare.
Chi sta dalla parte della maggioranza. Chi dalla parte dell’opposizione. Chi dalla parte di Sandro Casadei e della “nuova opposizione”.
Quanto a me, io so esattamente da che parte stare.
E di sicuro non è dalla mia.

bomba

ph. 3 Il Resto Del Carlino
ph. 5 CBLDF.org

© Gian Piero Travini

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