La figa e il glocal marketing a Cesena


Spot d’apertura del Chiosco Savelli a Cesena.

IMPATTO Idee alla rinfusa dopo un primo sguardo: dodici giorni di comunicazione – il Chiosco ha aperto sabato scorso -, spesa praticamente nulla, riprese non professionali, “arriva l’estate e non c’è mai un bar bello dove fare aperitivo” detto praticamente alle spalle del Cantera – sia in senso geografico che figurato -, una decina di secondi di troppo che però non si sentono, Tellerini e Planta – i due protagonisti – diventano glocal a tutti gli effetti e sfondano i 10mila come ancora non era capitato.
13 giorni, 20 commenti, 51 secondi, 111 condivisioni, 677 reazioni, 23mila visualizzazioni. Le mie tag mentali: Cesena, chiosco, barman professionisti, cocktail di qualità, un sacco di figa, piadina. Payoff: “Dove la città si incontra”. I motivi dell’incontro sono quelli di cui sopra. E, a scanso di equivoci, la prima parola scritta qui sopra è “Cesena”.
Cesena si incontra dove c’è Cesena: il primo tema. Cesena si incontra dove c’è professionalità: il secondo tema. Cesena si incontra dove c’è “un sacco di figa”: il terzo tema.

PRIMO TEMA Il primo tema è che Cesena tira dove Cesena tira. L’anti-tema è che quando Cesena decide che un posto non tira, il posto non tira. Una sola parola: Foro. Il Chiosco invece non si tocca. 642 reazioni e nessuna di rabbia. 81 condivisioni e quelle che dileggiano il non-contenuto sono di professionisti del settore della comunicazione digitale. Ma i professionisti del settore della comunicazione digitale non sono Cesena… anche se, come numeri, più o meno una città la si popola.
Il Chiosco non sarà mai messo in discussione perché non è mai stata messa in discussione la professionalità di chi lo gestisce, Trilogy Group: ecco il secondo tema.

SECONDO TEMA La professionalità della costruzione del packaging lo rende a prova di bomba. Tutti i prodotti Trilogy Group sono a prova di bomba. Incontestabili. Questo crea di rimando un senso di inevitabilità della presenza stessa di Trilogy in città, soprattutto quando si parla di possibili nuove attività o di cambi di gestione. Bar Roma: arriva Trilogy. Bar del Capitano: arriva Trilogy. Rocca Malatestiana: arriva Trilogy. Loggiato del Comune: arriva Trilogy. Vending machine del mio ufficio: arriva Trilogy. A ’sto punto più che Trilogy, potremmo parlare di Saga. 
Trilogy è già un content in sé
, con una sua forma, un suo metodo, un suo manuale d’uso. Per questo non ha bisogno di grandi campagne promozionali: dove c’è Trilogy ci si incontra, sicuri che non si rimarrà delusi, legati anche all’avatarizzazione di Trilogy, Christian Pagliarani. Anche perché, se dovessimo rimanere delusi, lo faremmo veramente sapere? Intendo fuori dalla cerchia dei delusi, ovviamente… Non credo. Cesena non è un paese per delusi. Per arrabbiati. Per critici – fino a che la critica è della maggioranza, identificabile a seconda del medium utilizzato per la critica -… per appassionati. Non per delusi. Ecco perché al Chiosco non servono contenuti: perché non ci sono delusi. Forse solo illusi: ma quando l’illusione raccoglie numeri diventa consenso.

TERZO TEMA E arriva il terzo tema: la figa, il non-contenuto per eccellenza. Non abbiate paura di pronunciare questa parola. “Figa”. Cazzo, “figa” è perfetta come parola. E poi “figa” lo avevano già sdoganato Simo Paglia e Bernardeschi con La Figa Lessa Standard di Cesena.
La figa è IL null real content: il contenuto reale nullo. Perché la figa c’è, ma non esiste. Molti di noi nemmeno l’hanno. Alcuni di noi nemmeno l’hanno vista. Io di sicuro non me la ricordo. Non possiamo comunicarla, soprattutto quando siamo una provincia dello Stato del Vaticano. Non possiamo quantificarla realmente: “Lì c’è più figa che qui”. Come si fa a stabilirlo? “Lei è più figa che l’altra”. Quali sono i criteri? La figa è un’ente inesistente. E anche se ci fosse, non sarebbe comprensibile. E anche se fosse comprensibile non sarebbe comunicabile: il presocratismo della figa è però stato spazzato via dai social… per quanto maldestro il tentativo di comunicazione, o volgare, o irrispettoso, sui social la figa sfonda.
Servono determinate condizioni perché sfondi senza essere sfondata: “ilcazzochemenefrega” del filosofo Rovazzi è la prima. E direi che basta quella, quantomeno a Cesena. Non importa che il contenuto sia sessista, inutile: il molto rumore per nulla è essenziale per un business plan ben riuscito, almeno da queste parti. E, curiosamente, è anche la principale conseguenza dei business plan non riusciti.
Soprattutto in centro storico.

LOCAL MKTG A CESENA Il local marketing di Trilogy Group funziona a Cesena per le caratteristiche stesse del tessuto sociale. Non servono contenuti, a Cesena… servono novità o sicure certezze. Il nuovo posto che apre è sempre il miglior posto, fino a che non si innesca il bisogno di routine e si finisce sulla certezza sicura. Ora piazza del Popolo tira, ma il vero banco di prova sarà la reazione estiva con il ritorno del Chiosco.
C’è chi dice che il video di cui qui sia la miglior pubblicità per i locali alternativi… io dico che quel video parla ad un pubblico che con quei locali c’entra, ma solo per vincoli di amicizia. Cesena è il Chiosco. Trasversale. Multi-generazionale. Socialmente aggregante. #ciaopoveri. Se non sei d’accordo sei invidioso.
Il video, di per sé, non sposterà una virgola gli atteggiamenti di consumo dei cesenati della movida, ma anzi li eradicherà: chi prima non andava al Chiosco – tipo me – continuerà a non andarci, forse con rinnovata soddisfazione, praticando con gusto l’arte discreta dello snobismo; chi prima lo frequentava non potrà che rifidelizzarsi con maggior vigore dopo una simile operazione.
Il vero bersaglio della campagna pubblicitaria è il pubblico entrante. I 100 giornini del Verdi, per intenderci. I neo-diciottenni. Quelli pronti per il primo mojito ufficiale. Quelli che dovranno decidere per la prima volta dove far nottata in estate: ecco, loro sono il target della comunicazione iniziale del Chiosco. E proprio chi opera in quel campo dovrà fare veramente i conti con questo contenuto.

Perché l’essenza del marketing digitale su Facebook non è la vendita dell’esperienza, ma la propagazione del contenuto.

CASE ANALYSIS Strumentazione video adeguata: fotocamera fullHD, microfono per esterni, regolazione a comando. Tellerini e Pianta, creator di videocontenuti di Cesena corteggiati da diverse realtà dell’intrattenimento locale, hanno numeri che girano sulle 3mila visualizzazioni, con picchi a 7-8mila. Hanno avuto il loro boom ad inizio 2016, poi i numeri sono andati in calando, fino a questa prestazione superlativa.
Non c’è nulla di casuale nel successo di questo video: Pagliarani non fa mai nulla a caso. Ha preso due producer senza paura di sputtanarsi perché forti di una fan base abbastanza solida e perfettamente in linea con il null real content, ha messo loro due brand in mano – Chiosco e Piadina del Chiosco -, e li ha messi a proprio agio sul loro medium: Facebook. E non YouTube.

Si caricano preferibilmente video su Facebook e non su YouTube quando fanno riferimento ad una comunità ristretta e fortemente tipizzata o localizzata o quando non si vuole perdere reach per eventuali contenuti embeddati.

Per Cesena cercare pubblicità alternative a Facebook sul digital è praticamente impossibile: anche su Instagram rispetto a riminesi e forlivesi siamo tra i sei mesi e l’anno di ritardo.
Non a caso i principali influencer in Romagna sono tutti in zona riminese, e quelli cesenati o hanno puntato altre aree – vedi Maria Vicini -, o sono ancora in erba – come Isabella Poggi – ed è comunque molto difficile trovarli fuori dall’ambiente food, salvo animali fantastici e dove trovarli come Fabrizio Faggiotto.
Certo, Tellerini e Pianta non sono degli influencer, e probabilmente hanno beneficiato più loro che Trilogy della prestazione video, ma il local marketing, per diventare glocal, dovrebbe puntare proprio su questo tipo di personaggi.
Perché, sì, la figa di qua e la figa di là, ma la figa non è il contenuto principale del video: il contenuto principale del video è il pubblico del Chiosco, perfettamente caratterizzato dai due creator. Il Chiosco ha messo al centro del messaggio il target stesso del messaggio. E questo diventerà uno dei trend della comunicazione glocale almeno fino a questo inverno: puntare sui ‘personaggi’ per veicolare un prodotto o un messaggio.

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Penso Pilates

Qualche mese fa ascolto Canyon Della Coscienza, Deserto Della Mente, Oasi Dell’Anima. È una canzone dei Ponzio Pilates. I Ponzio Pilates, che sono una mucchia di sbarbi strafatta di giandella bellariese: li ho incrociati al WAVE poco prima. Passavo, quella sera. Sentivo cose. Ho visto gente ballare. Non c’era criterio in quello che ascoltavo. È volato un: “Poveri stronzi” “Porelli” con annessa breve considerazione sulla sindrome San Carlo-Kelly – quella malattia che colpisce gli ascoltatori e che amplifica i loro feelz quando una band si muove bene sul palco, a prescindere dalle note suonate -, sono andato via: suoni sballati, abiduga-tour-ponzio-pilates-in-concerto_202576troppa gente sul palco per quello che veniva suonato, cantato autoreferenziale e ridicolo. Tanti errori, troppi errori. E l’odore della ganja nel 2016 è come la visione della mia faccia allo specchio: mi ha definitivamente stomacato.

Però, ecco, qualcosa mi gira in testa. Qualcosa che, zio ladro, ho già sentito. E non dai Calexico o dagli Os Mutantes – oh, fateci caso… il 90% di chi cita gli Os Mutantes ha ascoltato al massimo Bat Macuba, ma degli album non si ricorda mai un cazzo, perché semplicemente sono insfangabili se non hai fatto le orecchie ad altri suoni, e non basta Tropicalia di Beck o un best del periodo calypso di Quantic djset del sempre sul pezzo Flamingo -… no no. Mi ricordano dei suoni già sentiti… Forse è tutto nella mia testa, ma persiste, tanto che mentre torno a casa ripenso ad alcuni movimenti del tizio che suona uno strumento a corde: lui mi sa che è pure quello dei R-Amen, che erano quelli che stavano per essere scomu-NOIA; lei è la tizia dei Bomboloni, sono tutta gente con side 0007475482_10project che suona in continuazione e che dio mio, valesse qualcos-… Fermi tutti. Mi si illumina il mondo. Provo diverse accordature, le suono a casa. Ripenso a quello che faceva il tizio alla tastiera. Quello che a una certa si veste da fiore. Epperò se ti vesti da fiore ma non canti Supper’s Ready dei Genesis sei proprio un philcollins qualunque. Epperò no. No perché mi stanno girando in testa da troppo.
Quindi cerco roba su internet.
Ci metto un po’.
Non mi piace fare i complimenti agli sbarbi. Quindi ci metto volutamente un po’.

E, appunto, qualche mese fa ascolto Canyon Del Diobò e bla bla. Scrivono che sia un’improvvisazione a Bologna. Forse in via Goito? Forse passavo da lì? So chi ci abita da quelle parti, so fino a quando fingevamo che ci fosse qualcosa di diverso da mutuo soccorso, so che è possibile che io passassi da lì. E il risultato è che senza voce questi sono dei musicisti della Madonna. O della Maria. O della Marija.
Roba vera. Musica. Con criterio, anche in improvvisazione. Molte cose le riprendono in Nigolas, la penultima canzone del loro EP Abiduga, uscito lo scorso giugno, fortuna per loro. Solo che poi cantano. a0558862372_10E allora capisco: qua devo far finta che non cantino, sennò mentre loro scopanoladroga a me saleilBataclan. E se non penso al fatto che usino la voce per fare un passo successivo di nonsense che ancora non trovo ben sviluppato, perché anche il nonsense può acquisire un gusto pop rimanendo comunque per pochi, beh… Abiduga è un EP incredibile. Zampa è finita direttamente nella mia top ten estiva, con un retrogusto Budos Band quel tanto che basta per mantenere una chiara volontà di rimanere nel proprio, una eco da Tito & Tarantula e tutto quel synth che mi stura anche l’anima.

Io ora non voglio dire che questi siano la miglior band in circolazione. Ci stanno i 64 Slices Of American Cheese… i Pater Nembrot… i Morning… ma i Pilates, rispetto all’età che hanno, rischiano di dare il giro a tutti a livello di show, di creatività, di musicalità, di spingersi un passo oltre. Mi è sembrato di intravedere qualcosa di folle, meraviglioso, istintivo, marcio e drogatissimo che mi ha rimandato ai primi set dei Red Hot Chili Peppers o al cazzeggio dei Madness.
Tagliando le cazzate tardoadolescenziali, le battute chiusin chiusine e i riferimenti al gruppo di amici, il fatto che facciano presente ogni due per tre che si sballino come se avesse ancora un significato sociale che ormai se non tiri giù cani dai licei per questioni dispacciobbrutto non conti un cazzo, le grafiche vapor… beh, al netto del cazzeggio questi qui spaccano. E se inizieranno a guardare al di sopra della stagnola dell’eroina del rotolo di kebab, spaccheranno anche fuori dal sabbione del Beky dove si esibiranno stasera.

Che poi, faccio delle gran pugnette sui testi, e mi ritrovo a cantare Algeri in macchina…

© Gian Piero Travini

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Cesena Curcio Coscienza Parallela

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“Ha fatto quasi 30 anni di galera, è uno dei pochi ad aver pagato per ciò che ha fatto” (F. Biagioli su Renato Curcio, Il Resto del Carlino, 22/07/2016)

Questa sera, al circolo Arci Magazzino Parallelo di Cesena, Renato Curcio leggerà il libro che ha pubblicato nel 2015, L’impero virtuale sul tema della colonizzazione e del controllo digitale.
L’opinionista e digital influencer locale Fabrizio Faggiotto, dal gruppo La Cesena che vorremmo, si è interrogato questa mattina sulla “leggera inopportunità di tale iniziativa.

IPERREALTÀ DELLA NORMALITÀ
La dichiarazione di Francesco ‘Biagino’ Biagioli sulle motivazioni dell’invito a Curcio e la sua ‘difesa’ all’evento sono un autogol clamoroso mediatico e concettuale: aver fatto 24 anni di galera non dà diritto di parola. Non è un valore aggiunto. Essere un ESSERE UMANO dà diritto di parola, in un libero stato di diritto: semplicemente. Aver pagato per un reato commesso non eleva rispetto a chi non ha pagato, semplicemente riporta ad uno stato di normalità – purtroppo questo messaggio, nel Terzo mondo in cui viviamo, non passa, e spesso la “normalità” diviene “straordinarietà” e quindi 20150321184722!Curcio_processo copiaviene esaltata –, forse con un po’ di coscienza in più di se stessi, dato che si è vissuti forzosamente per anni filtrati da altri.

A questo punto si torna alla questione di merito dell’azione principale cui dovrebbe portare un sistema carcerario: non dovrebbe nobilitare, non dovrebbe ripulire, non dovrebbe punire. Non primariamente. Primariamente dovrebbe reinserirti nella società. Anche attraverso il castigo, è evidente.
Nel momento in cui viene scontata la pena, per quello che mi riguarda, si dovrebbe essere abili al reinserimento in società. Reinserimento che potrebbe prevedere anche una lezione sulla comunicazione digitale globale e i suoi pericoli. Dopotutto Curcio viene da quel campo di studi, peraltro in un’Università che era all’avanguardia in quel periodo: un concetto che ritornerà in seguito.
Detto questo, a domanda, rispondo.
Q: “Non vi sembra leggermente inopportuno?”.
A: “No”.

PERSONE v. CONTENUTI
Uno ha libertà di scelta: se è interessato ci va, se non è interessato – per qualsiasi motivo, fosse anche di pregiudiziale politica –, no.
Altra questione è un’analisi delle persone e delle ragioni che gravitano e decidono intorno alla realtà del Magazzino Parallelo… ma non credo dovrebbe essere una discrimine il processo alle intenzioni: non prima di aver valutato il prodotto. Fosse così dovrei togliere il saluto a chiunque collabori con realtà che non considero limpide rispetto alla mia considerazione. Ma il mio primo pensiero corre sempre ai contenuti prodotti.

Perché, in ultima battuta, è questo che bisognerebbe cercare: contenuti.
E penso che Curcio possa darne.
Scevro dalla sua storia umana e personale, che non mi affascina, non mi impressiona e, anzi, mi mette solo grande tristezza e pietà addosso pensando a Giralucci e Mazzola – rabbia no, credo si esaurisca proprio nel momento in cui si esaurisce il suo processo di riabilitazione, perché ho accetto lo stato di diritto, le sue regole e i suoi percorsi –, Curcio sa di cosa sta parlando, e lo dimostra da anni.

COMPROMESSI
Si sceglie se quel contenuto va preso, oppure no. Ma non credo se ne possa discutere la sua opportunità o meno. Non senza essere scesi a compromessi con la storia di quegli anni. Non senza aver cercato di capire il momento storico-politico e lo scenario e il tessuto sociale in cui Curcio si muoveva.
Francesco Cossiga nel ’91 aveva introdotto un dibattito importantissimo, come al solito con metodologie sbagliate e quindi svalutandolo, ma che è sempre stato il cardine della sua Presidenza: a un certo punto dobbiamo confrontarci con il nostro passato storico, politico e intellettuale e fronteggiarlo (e in tal senso sarebbe da rileggere la sua proposta di nuova Costituente, e proprio in questi giorni sensibili bisognerebbe riconsiderarne l’opportunità). Ora, lui proponeva la grazia per Curcio – peraltro con termini completamente extracostituzionali e seminando un casino politico incredibile come solo lui sapeva fare –, ma al di là dell’inopportunità – che è come tale perché si profila empirica andando contro la Costituzione, in quel caso, e per questo “inopportuna” quando proposta da un Presidente della Repubblica, giusto per riconsiderare i concetti di opportunità e inopportunità –, il problema posto rimane: fare pace con il nostro passato.

PASSO SUCCESSIVO
Poi mi guardo intorno. Chiudo gli occhi. Ascolto chi parla. Apro gli occhi. Chiudo le orecchie. Leggo chi scrive. Non voglio distrazioni.

“Curcio non pensava certo al terrorismo quando era qui. Perlomeno, non essendoci la telepatia, nessuno aveva modo di supporlo. Io poi non lo ricordo nemmeno” (F. Alberoni, La Repubblica, 28 aprile 1984)

E mi viene in mente il prof. Francesco Alberoni che sostiene da sempre di non essersi accorto del ’68 perché Curcio avrebbe avuto “una faccia iimage copia.jpgnterna che mostrava il meno possibile”, dunque difficilmente intelleggibile durante gli anni del suo rettorato a Trento. Questo mentre il ragazzo sgambettava i professori dalle scale e appendeva striscioni in facoltà sulla S O C I O L O G I A un anno prima che lui arrivasse a
governarla. Evidentemente Alberoni non era al corrente dei gruppi di studio di Università Negativa dove si studiava il marxismo di Raniero Panzieri e tante altre cose che, ora, definiremmo indie.
Ecco. Io ho sempre pensato questa cosa.“Delle due, l’una” [cit.]: o Alberoni è stato molto distratto, o abbiamo una dissennata tendenza a farci prendere in giro.

Distinguiamo i nemici, forse.
E non ce ne dimentichiamo, senza dubbio.
Forse sarebbe ora di imparare a riconoscere i falsi amici.

© Gian Piero Travini

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QUESTO MIO CUORE

Senza titolo-1
“Che succede, nonno? Perché piangi?”.
“Non mi ricordo più dove abito”.
“Ma và, và. Adesso ci mettiamo tranquilli e troviamo dove abiti, va bene?”.
“Ma te sei quello del calcio? Quello della Buonanotte? Ma dove sei finito?”.
“Sai nonno che certe cose non me le ricordo nemmeno io?”.

Sant’Egidio non è Bruxelles. Non è Roma. Non è Cesena. Sant’Egidio non è nemmeno il Granducato di Case Frini. Sant’Egidio è una succursale delle Vigne, costruita su terreni coltivabili di un pugno di proprietari terrieri che poi si sono fatti costruire strade e servizi dal Comune di Cesena. Sant’Egidio è meno che un quartiere e più di un vicinato. A Sant’Egidio di notte senti amplificato come se fosse sotto casa tua il karaoke notturno del Megusta, là dalle concessionarie. A Sant’Egidio c’è il figlio della sarta che torna a casa cantando al mattino, brillo… gli dici che hai sonno, dall’altra parte della strada e lui si scusa pure. E ti dice che ha bevuto un po’ ma che è contento. E tu gli vorresti dire che hai bevuto anche tu, ma che non sei contento niente niente, ma fare terapia quando lui ha ancora una Moretti da .66 in mano non è proprio l’ideale.

Non si decide il destino del mondo, a Sant’Egidio. Non esplodono bombe. Non ci sono camion che passano sulla folla. No.
A Sant’Egidio un nonno si perde, tu lo aiuti a ritrovare la strada, e lui ti fa pure la pugnetta che non scrivi più. Non passano camion, quindi tocca portarlo a casa. Incontro sua figlia… Dice che scappa sempre, abita poco lontano. È un camminatore, non vuol fermarsi. Non sembra riconoscermi, quando si allontana.

È Sant’Egidio, me ne rendo conto.
Lei è a Bruxelles a fare cose meravigliose, io raccatto vecchi tifosi del Cesena per strada perché chi li bada non chiude il cancello.
A Nizza uno stordito gioca a Carmaggedon in versione inshallah, qui tolgono i lecci davanti alle biblioteche.
In Europa si corre il rischio, ogni istante, di una deriva fascistoide del tessuto sociale di maggioranza, e a Cesena si fa muro contro muro tra ragazzi per un tizio che legge Manzoni.

Sono miserie diverse, lo so.
Ma sono anche nobiltà diverse.
E lo capisco che dovrei provare cordoglio per tutti i morti di tutte le stragi. Di tutto il mondo.
Ma non ci riesco.
Questo mio cuore è troppo piccolo per sentire tutto.
Questi miei occhi sono troppo distratti per vedere tutto.
Questo mio fegato è troppo gonfio per stare in mezzo a tutto.
Lascio il mondo intero a chi ha scelto di difenderlo. Di combatterlo. Di governarlo. Di salvarlo.
Lascio il mondo intero agli altri e mi tengo Sant’Egidio. E i nonni che si perdono in via Madonna dello Schioppo.
Lo so, è poco. Ma questo è quello che riesco a fare.
Mi posso curare solo di poche cose alla volta. Troppo poche. Ma lo faccio fino in fondo. Sempre.

Sarei una persona più bella se potessi commuovermi per i più di 300 a Baghdad la scorsa settimana. Sarei incredibilmente social se manifestassi il dolore per quello che è successo ieri a Nizza.
Ma la verità è che non sono una bella persona. La verità è che non posso farmi investire da quello che è diventato new normal.
La verità è che qualcuno deve guardare anche in mezzo a via Madonna dello Schioppo, mentre tutti gli altri piangono per il mondo.
Io posso fare la differenza solo in via Madonna dello Schioppo. Non sono buono a fare altro. A volte mi sento un pezzo di merda inetto, è vero.
Lo so da solo. Non c’è bisogno di leggerlo il giorno dopo ogni strage. “Ai morti in °paese a caso parecchio lontano dall’Italia° non ci avete pensato l’altro giorno: ipocriti”.

Io non lo so se sono ipocrita.
So che certe volte non sono proprio in grado di affrontare il male. E piuttosto ci faccio un commento cinico sopra.
Devo pur difendermi anche io dal male…
Questo mio cuore è troppo piccolo anche per quello, forse.

© Gian Piero Travini

La foto è un estratto di un lavoro di Francesco Menicucci, un caro amico che scatta a Milano

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IL FALLIMENTO DELLA NAZIONALE

Italia vs Croazia - Finale Basket Torneo Preolimpico FIBAÈ il 31′. Il fratello sbagliato si becca un tecnico per proteste. Io zitto. È un tecnico vecchio di un paio di partite prima. In casa tutti esultano. Io zitto. Datome ci fa mettere il muso in avanti, per la terza volta. “Andiamo a Rio. Dai che andiamo a Rio!”. Io zitto. Beviamo Moretti caldina, camminiamo per il nervoso. Si parlotta. Io zitto.
Perché il fratello sbagliato con quel tecnico ha cambiato la partita. Ha annullato con un sacrificio tattico e un po’ di pressione sugli arbitri i 2 milioni che Petrucci ha speso per organizzare il Preolimpico a Torino, tronfio e ebbro di un potere che non ha più che ci aveva dato la falsa illusione che l’impresa si potesse fare.
E invece l’Italia è fuori dalla Olimpiade. L’Italia con due NBA, un ex NBA di fatto e uno che lo è da almeno tre anni anche se continua a giocare e un altro che vorrebbe andare a Houston ma che farebbe fatica a far la panca al Barça, ad oggi. E difatti è facile che rimanga a Milano.
Ho visto il futuro dell’Italia.
Ed è come il suo passato.

GIORNI DI UN FUTURO PASSATO
Contro la Lituania fu un macello. Fu un macello a livello mentale, soprattutto. Una statistica su tutte, il 28,6% da tre punti. Bad day: capita. Capita forse un 4/12, non un 8/28: a tanto era ridotta l’ItalBasket di Pianigiani. Una squadra gonfiata dai media sulla celebrata “ignoranza” dei tiri di Belinelli, Gallinari, Gentile e Aradori, che rischiò con l’Islanda pur dominando la Spagna e venne triturata dalla Lituania, senza un’identità di gioco e con gli ultimi palloni gestiti senza avere un’idea chiara di cosa fare.
Pianigiani gentilmente invitato ad andarsene, il ricorso a Sua Maestà Ettore. L’ennesima mossa show di Petrucci, ancora abilitato a far danni non già soddisfatti di avergli fatto disintegrare la credibilità internazionale del Coni italiano: chiamare il migliore allenatore senza però avere la certezza che San Antonio lo lasci libero per costruire un lavoro coerente in Nazionale, dove pure si è portato dietro Giordano Consolini per piazzarlo a seguire l’intero settore giovanile Azzurro.
E poi la mossa ‘politica’, il Preolimpico a Torino. Per aver peso. Per farsi sentire.
Per ritrovarsi con Gallinari, Melli, Datome e Belinelli fuori per cinque falli in finale.
Per collezionare l’ennesima figura da cioccolatai.
Per continuare a non guardare in faccia le realtà: Leghe senza peso, società disperatamente sull’orlo del fallimento, una sola top cow in serie A che ha sostituito la più grande bufala sportiva degli ultimi dieci anni – bufala che peraltro ha espresso lo stesso allenatore che non ha portato la Nazionale italiana tra le prime quattro dell’Europeo–, una LegaDue disintegrata dagli scandali finanziari, arbitraggi che peggiorano di anno in anno, sempre più appiattiti su Milano, settori giovanili inesistenti e nessuna programmazione.
Ho visto il futuro. È come il passato. In rovina. Perché in mano a incapaci privi di idee e a complici nei vari settori specializzati che passano sotto esaltazione la mediocrità che ci circonda, alimentati dall’HYPE del web, dove la normalità viene esaltata e celebrata facendo diventare la vera eccellenza un ricordo e chi è veramente appassionato del grande gesto atletico un semplice hater.
Ho visto il futuro. E ringrazio che Gentile abbia perso l’ennesimo ultimo possesso. Perché altrimenti avremmo rischiato di far finta che tutto andasse bene, ubriachi del samba do Brasil, soddisfatti del fatto che fossero in quindicimila a veder un 2,10 che tira all’indietro perché ha paura dello scontro fisico.
Ho visto il futuro. E se continuerà a gestirlo Petrucci sarà l’Apocalisse.
Altroché X-Men.

FUOCO AMICO
Giocoforza ho visto Italia-Croazia con telecronaca inglese. Primi due possessi, due volte passi di Gentile. “Twice in a row? Is unbelievable”. Basta un osservatore estero per capire a che punto siamo, mentre colpevolmente in Italia si minimizza. Si nicchia. Si fa finta che.
E sul campo siamo al punto che questa Nazionale non è forte. Punto e basta. Forse fa cantare il “Poppoppo”, forse attira belle ragazze, forse fa riempire il PalaAlpitour, ma alla fine i palazzetti durante i campionati sono vuoti, i palinsesti se ne fregano e Gentile pensa già di essere un giocatore di pallacanestro. Ma la colpa non è completamente sua: la colpa è di un ambiente che ha scelto di tollerare la sua diseducazione tattica, la sua meccanica di tiro sporca, la sua immobilità caratteriale e la sua supponenza per una semplice questione di ‘immagine giovane’ che di fatto ha esportato il renzismo anche nel mondo dello sport.
Questa la sua finale: 3/7 da due, 0/1 da tre, 5 palloni persi (di cui due passi a inizio gara e gli ultimi due possessi della partita), 1 stoppata subita, 4 assist. Questo l’uomo che ha gestito gli ultimi due palloni della Gara. Gara tenuta su dalla prestazione dei lunghi Melli e Cusin e da qualche fiammata di Gallinari, il miglior giocatore dell’Italia in questo momento, ma che sul dunque non riesce a mantenere la concentrazione necessaria ad un leader, dimostrando che qualcosa in NBA manca ancora. E che l’unico che continui a calarsi nella parte sia Belinelli.
Preolimpico-Italia-vs-Croazia copia
Per tacere di Bargnani che, semplicemente, non può farcela. Ed è meglio prenderne atto. Sia per lui che per chi da lui si aspetta le prestazioni di una ex prima scelta. Del termine è rimasto solo “ex”.

I CAVALLI DI TROIA
Ettore doveva scardinare gli equilibri dei nomi. Mettere Gentile davanti a un bivio come fece Giordano Consolini quando Junior era nelle giovanili Virtus. Nella biografia del figlio d’arte – perché questo a 24 anni ha già una biografia, roba che solo nel mondo patinato dell’EA7 – si dice che semplicemente Giordano lo bolla.

“Non è adatto” (G. Consolini, 2006)

Il libro di Di Schiavi non racconta però gli antefatti. Non racconta di un talento arrogante, svogliato, con una certa strafottenza e insofferenza all’essere uno del gruppo, prima che un diamante allo stato grezzo. Non racconta della Scena.

“Se questo è il tuo atteggiamento, puoi accomodarti fuori dalla palestra e non tornare mai più” (G. Consolini, 2006)

Quante di queste situazioni ne avrà vissute il coach? Con chissà quanti… E però rimane il dubbio che comunque Junior non abbia imparato nulla da questa cosa e che le offerte Senza titolo-2giudicate poco interessanti dal Barça e da Houston in realtà suonino più come sfanculamenti che altro. E che quel “Non è adatto” di Consolini non fosse così campato per aria per uno che ha vinto una decina di scudetti giovanili e un paio di promozioni in A1.

La missione di Ettore Messina era spiegare che dove sei la squadra nettamente più forte del campionato c’è spazio anche per un capitano indisciplinato, ma che in Nazionale si fa quello che serve alla squadra. Oppure metterlo alla porta.
Sicuramente glielo ha fatto capire. Forse glielo ha anche detto. Anzi, forse lo ha proprio messo davanti a quel bivio… ma alla fine sono rimasti a casa Polonara e Abass, forse troppo acerbo. La scelta non ha pagato, quando Achille sarebbe stato il rincalzo giusto per Gallinari.
La ragione tattica, il vero errore di Messina, è stato pensare che sotto pressione Gentile potesse fare il playmaker, permettendogli di convocare Poeta uomo-spogliatoio al posto di Cinciarini, sfruttando la fisicità del campano nei momenti chiave. Sotto pressione Gentile reagisce come un Di Bella sul playground dei Giardini Margherita: andando a caso.

Ettore ha lavorato sulla difesa. Ha costruito solide mura di Troia, poderose, che hanno tenuto talmente fuori gli achei – tanto che nemmeno ci si è giocato con la Grecia –, sbolognando lo scomodo cliente alla Croazia, ma ha permesso ai vari cavalli di Troia, Gentile e Bargnani, di mandare in pappa il giochino, non riuscendo a smantellare completamente il gioco in pick’n’roll e isolamento di Pianigiani ma solamente incasinando le cose. E non è un caso se a un certo punto, prima dell’incendio finale, ci si sia giocati il tutto per tutto mettendo la palla in mano a Gallinari e pregando che vincesse da solo la partita.

Insomma, doveva tagliare le teste matte di lusso, pompate da sponsor e media, Gentile e Italia vs Croazia - Finale Basket Torneo Preolimpico FIBAAradori, e non l’ha fatto, pur trovando un Hackett assoluto MVP del torneo assieme a Melli e un Cusin in grado di stoppare per due volte Bogdanovic. Ha avuto poco tempo per lavorare, questo è vero. Ma ha commesso errori. Se uno nasce stronzo non può diventare buono solo perché ci sono logiche difficili da scardinare. E se il leone deve tirare indietro la zampa, allora è un circo che non mi interessa: perché, sotto sotto, noi speriamo tutti che l’ammaestratore venga mangiato.

LO STATO FAMILIARE DI ANDROMACA

“I nostri sono campioni, tanto quanto quelli del calcio, che avete osannato sulla stampa per un’eliminazione ai quarti ai rigori. Se non vale anche per quest’Italia allora dovete rimangiarvi quanto avete scritto sulla Nazionale di Conte” (G. Petrucci, La Gazzetta dello Sport 11/07/2016)

Neanche se lo lasciassero solo, vittima del conquistatore più sanguinario, abbandonato da tutti e in procinto d’esser servo una vita intera il presidente Petrucci ammetterebbe di aver sbagliato.
Il lutto s’addice ad Elettra ma non ad Andromaca, che prima fa da concubina all’assassino del figlio a sua volta figlio dell’assassino del marito, poi si sposa uno dei fratelli del marito morto.
E Petrucci è così. Mira alla sopravvivenza. All’avere semPetruccipre un piatto dove mangiare badando a conservare i pass giusti per i potentati.
E il problema non è l’aver sostituito Pianigiani… il problema è non averlo fatto immediatamente, non appena presa in carico l’eredità fallimentare di Dino Meneghin. Ma questo passaggio vale la pena di evidenziarlo, perché è un’altra di quelle cose passate sottotraccia. La presidenza Meneghin… Dino Meneghin smette di giocare nel 1994. Non diventa allenatore. Non diventa dirigente. A un certo punto lo mettono a fare il team manager della Nazionale, perché probabilmente suo figlio non gliela faceva a guidare dritto. Il team manager è un accompagnatore. Sky lo ingaggia. Per dire: “Oh, noi abbiamo Meneghin… voi Franco Lauro e Marco Bonamico”, immagino. Poi diventa commissario straordinario della Fip, perché era necessario un uomo di garanzia. Poi lo fanno presidente. È il 2009. E, io mi chiedo, ci sarà pur una ragione se questo in quindici anni uno straccio di ruolo di responsabilità non l’abbia mai ricoperto. A meno che non fosse l’uomo di qualcuno. A meno che non fosse espressione di altre decisioni. Magari di chi, in quel momento, aveva un altro ruolo da ricoprire.
Sia come sia, si passa da Meneghin a Petrucci e servono altri due anni e mezzo perché Pianigiani venga rimandato a casa, propiziando un bel viaggio mistico in Terrasanta.
E in questi tre anni Andromaca è sempre più solitaria.
Attorno a lei c’è sempre più vuoto.
Sì, forse Petrucci è il meno colpevole dello sfascio della pallacanestro italiana, almeno in questo momento. Ma continua a far finta di non vedere. Esattamente come quando era presidente del Coni e lo sport italiano si sporcava delle più incredibili nefandezze.
Forse lui è il meno peggio.
Forse no.
Ma, ad oggi, non basta.
Come non basta Ettore Messina.
Come non bastano Datome, Belinelli, Melli, Cusin, Hackett e Gallinari. Come non basta la generazione di fenomeni mai realizzatisi.

“Devo citare il maestro Velasco: ‘Chi vince festeggia, chi perde spiega’… e ora a me tocca spiegare. Anche se non so ancora come farlo” (E. Messina, 09/07/2016)

Velasco. A proposito di “generazione di fenomeni”…

Ho visto il futuro. È con Ettore Messina. È un futuro in cui verranno fatte scelte coraggiose, in cui si smetterà di celebrare il giovane e bello ma si cercherà il bravo. È un futuro in cui Ettore Messina potrà semplicemente allenare senza bisogno di rispondere anche ad altre esigenze.
È un futuro in cui qualcuno riuscirà a ritornare alle Final Four di Eurolega.
È un futuro splendido per il basket italiano.
Ho visto il futuro, sì.
Ma era un sogno.
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© Gian Piero Travini

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WE HATING CALCUTTA

Senza titolo-2
Calcutta
legge e reinterpreta i Promessi Sposi in trasferta a Cesena il 27 luglio.
Carneade HYPE… chi era costui? Tra Twitter e Facebook è delirio per un reading in un locale, il Tamla, che al massimo terrà una trentina di persone. E proprio nei giorni del Rockin’1000 atto secondo.

SCENE DA UN MATRIMONIO CHE S’HA DA FARE
L’idea viene a Cesare Biguzzi – enfant prodige del Vidia Rock Club di San Vittore che questa volta droppa la bombetta per i fatti suoi –, a Giacomo Zani e Elia Bertolaso a chiusura della rassegna WeReading che, da giugno, porta al Tamla diversi lettori che si confrontano con autori come Calvino, Rilke e Carver: dopo gli amici di sempre che si ‘immolano’ uno dopo l’altro – in una città che sembra non vedere alternative alle eccellenze Mercadini e Nicoletti in campo racconto orale –, vuole chiudere col botto. E se qualcuno per provocazione aveva letto Brondi, lui vuole solo litigare osare.
Ferma Calcutta a Savignano sul Rubicone durante il Rock È Tratto. Gli spiega il progetto per dare una mano alle ragazze del Tamla – locale tutto al femminile – che per un po’ di casino di troppo si erano viste mettere sotto sigillo l’impianto audio dopo una serata. Manco ai tempi di Radio Londra. Intera stagione a rischio dal punto di vista di impresa, volemossebbéne e poi Calcutta “preso benissimo” risponde sì, anche perché in diverse occasioni si era detto particolarmente affascinato dalle vicende di Renzo e Lucia:
il che spiega buona parte delle mie dormite su certi suoi pezzi molte cose sul suo storytelling.
Calcutta. Storytelling. Eder. Titolare.

L’INNOMINA… BILE
Il 4 luglio l’annuncio della data del 27. Dalla scSenza titolo-3ena romana partono già le proposte di trasferta in massa , la balotta bolognese dello stesso Calcutta pronta con macchinate e pure da Padova si iniziano a controllare le mappe di Google per arrivare in Romagna. Ma sulla rete non mancano gli haters, quelli che proprio Calcutta non lo tollerano,
e iniziano gli sfottò online, tra meme e critiche più e meno pesanti. #Calcutta entra in topic. Mirko E Santini da DeerWaves dice la sua, sperando che magari qualcuno lo chiami per un djset pre-show gli voglia bene sul serio.
Edoardo non ci sta: il giorno prima brutte scene proprio a Roma, dove si becca un’invasione di palco da parte di uno del pubblico e minacce di violenza dopo il concerto… insomma, il giovane è un po’ provato e molla.

“Mi era da subito sembrato carino partecipare e in qualche modo dare una mano in questa situazione di sfortuna. Dimenticavo però che il mondo è pieno di astiosi. Quel giorno me ne andrò al mare” (E. D’Erme, Rolling Stones.it, 4 luglio 2016)

Poi l’allarme rientra e mercoledì scorso Biguzzi conferma che Calcutta il 27 sarà in città per confrontarsi con Alessandro Manzoni. Lascia pure che l’odio si diffonda: basta che se ne parli, anche perché la polemica sembra quasi costruita ad hoc dall’amministratore della pagina ufficiale dell’artista per trollarci cenere alla cenere, polvere alla polvere, HYPE all’HYPE.

 “Sarebbe come se a Manchester Liam Ghallagher leggesse Shakespeare: l’icona del pop inglese che legge un’altra icona del pop inglese, in tempi differenti. E, obiettivamente, Calcutta è l’icona del pop italiano, in questo momento, esattamente come lo è stato Manzoni ai suoi tempi” (C. Biguzzi)

LA HAINE
Qualche considerazione.
L’unico modo per comprendere i limiti della musica espressa da Calcutta è andarlo ad ascoltare dal vivo. Suoni completamente sballati, arrangiamenti incerottati, mancanza di sinergia tra la band. L’hating del fan medio di Calcutta – che è difficile da individuare, considerata la trasversalità del disagio di chi trova le gelaterie bio chiuse delle piccole cose in Italia – contro ‘Cisco’ Sarsano non è casuale: in mezzo ad una band non composta da musicisti nel senso reale più stringente del termine può risultare irritante. Perché, sì, anche il fan di Calcutta è hater e, di sicuro, non segue la diteggiatura di un basso.

“Calcutta è un talento a livello di songwriting” (R. Sinigallia)

Io sono della scuola che se un film di merda ha una sceneggiatura aderente alla realtà okrimane un film di merda con una sceneggiatura aderente alla realtà (Blackhat di Michael Mann) e non si trasforma in un capolavoro. Calcutta ribalta questo concetto e ridescrive la realtà ad uso e consumo del nuovo pubblico creato a tavolino da Contessa che risponde in base nazionale alla scena romana: nel 2016 basta il songcopywriting. E allora forse un film di merda con una regia perfetta non è solo un film di merda con una regia perfetta (Blackhat di Michael Mann).

Inabilità Poca attitudine al canto live, cazzeggio bresco, gente che scende dal palco, si fa una birra, torna sul palco… si ritorna semplicemente alla base del raccontare di chi non ce l’ha data per trovare chi ce la darà.
La differenza è che la tolleranza alle birrine è calato di molto negli ultimi anni. Esattamente come la qualità della struttura musicale cantautorale. Reggiamo di meno…
Accontentiamoci. Anche in un reading. Anche con Manzoni.
Accontentiamoci.
Verranno tempi migliori?.
Fino a che l’odio non diverrà sfanculamento e Calcutta non sarà vittima del ‘paradigma di Dente’ (nascita artistica per presenza di HYPE, morte artistica per assenza di HYPE), tocca zuzzarcelo. Lui e i suoi prossimi epigoni.
E prima di dire che sta per fare un torto a Manzoni riflettiamo prima sul torto che ci ha fatto Manzoni a scrivere quel libro di merda i Promessi Sposi, poi sul fatto che Cesena “non è il lago di Como ma c’è un clima fantastico”. L’idea dell’artista social è che ci sia un risvolto social: magari non saprà leggere, ma conosceremo della bella gente.

Io andrei anche solo per Tania Massi.
E quando verrete al Tamla e la conoscerete, capirete perché.

© Gian Piero Travini

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NON È UN PAESE PER

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ALONE IN THE DARK
Giulio Regeni
è morto.
Ed è morto come non si dovrebbe mai morire. Da solo.
E anche nel giornalismo ai tempi delle lettere anonime, quella di cui sopra è l’unica certezza. Unita al fatto che non ci si improvvisa esperti di esteri nemmeno se si è uno dei più grandi giornalisti investigativi italiani.
Regeni è morto da solo. Come un cane. Ed è solo pure nel post mortem: la pletora di ignoranti che sta esprimendo pareri su cose che non conosce è tutto fuorché compagnia. L’ignoranza aliena.
Il rischio è che la foto con gattino del ricercatore diventi l’ennesimo meme ad uso e consumo dell’hipsterografia di Vice e dei socialKissinger del web, cui si attaccano colleghi giornalisti che si sono dimenticati l’abc della verifica delle fonti: la certezza è che, anche questa volta, il silenzio assordante dello Stato italiano stia giustificando la prossima brutalizzazione.
Che, tranquilli, arriverà. Perché l’abbiamo già legittimata.

SE UNA NOTTE D’INVERNO UN VIAGGIATORE
Regeni sparisce il 25 gennaio, attorno alle 20. Esattamente cinque anni dopo la Rivoluzione del Nilo.
Non è il primo. Non è l’ultimo.
E l’Italia guarda.
Guarda un suo studente all’estero brillante, forse spregiudicato, voglioso di sicuro di fare la differenza, sparire fagocitato da uno Stato che sta scivolando nella più bieca dittatura post rivoluzionaria. E, a distanza di settantadue giorni dall’accaduto, ieri è arrivata l’unica vera reazione diplomatica ufficiale del Paese, per bocca del suo stesso premier.

“Abbiamo scelto di far lavorare insieme i magistrati di Italia ed Egitto e siamo impegnati a che su Regeni non sia una verità di comodo ma la verità. Aspettiamo che i magistrati facciano i loro incontri, noi siamo pronti a seguire quel lavoro con grandissima determinazione. Nessun tentativo di svicolare rispetto alla verità sarà accolto da nessuna parte” (M. Renzi, Il Mattino 6 aprile 2014)

In mezzo a questi settantadue giorni quattro diverse versioni ufficiali dell’accaduto sono state diramate dalle autorità egiziane. In mezzo a questi settantadue giorni il ministro Gentiloni abbozza. Il tempo passa e Gentiloni abbozza. I genitori chiedono giustizia. E Gentiloni abbozza. Dal Governo del FARE al Governo dell’ABBOZZARE. E mentre La Repubblica si diletta con deminotizie, Gentiloni continua ad abbozzare.
Questo intervento sul nuovo house organ dell’amministrazione statale, è un capolavoro di prostrazione inattiva. Un passaggio è emblematico.

“[…] la visita del procuratore della Repubblica Pignatone e del sostituto Colaiocco al Cairo ha rimesso questa collaborazione nei binari giusti. In quegli stessi giorni, il Presidente al-Sisi ha dichiarato, in interviste alla stampa italiana, di voler portare avanti fino in fondo l’attività di ricerca della verità. Tuttavia dieci giorni dopo, il 24 marzo, il nostro team investigativo è stato convocato a tarda sera al Cairo per un briefing delle autorità investigative egiziane relativo all’uccisione di un gruppo di cinque criminali dediti a rapinare o a sequestrare cittadini stranieri spacciandosi per poliziotti. Questo è apparso come un ulteriore e ancor più grave tentativo di accreditare una verità di comodo e la reazione italiana è stata ferma e immediata. Sia il Governo che la Procura della Repubblica di Roma, con i rispettivi canali, hanno subito chiarito che non avremmo accettato questa come la conclusione dell’indagine” (P. Gentiloni, L’Unità, 6 aprile 2016)

Parallele asimmetriche #1: “Ci hanno raccontato una marea di frottole che però non siamo stati in grado di sgamare subito. Quando ci siamo ‘riusciti’, perché sono stati contraddetti dal Washington Post, abbiamo provato a insegnargli come si fanno le indagini: d’altronde eravamo convinti fossero dei dilettanti. Poi hanno continuato a propinarci un oceano di boiate e noi ce ne siamo avuti a male perché se fanno i dilettanti non va mica bene.

“A questo punto credo sia legittimo e, anzi, doveroso chiedersi se la fermezza della reazione del Governo, della magistratura, della famiglia e dell’Italia intera potranno riaprire un canale di piena collaborazione; il canale, peraltro, assicurato dallo stesso presidente al-Sisi” (P. Gentiloni, L’Unità, 6 aprile 2016)

Parallele asimmetriche #2: “I dilettanti siamo noi”.

Dopo settantatre giorni il ministro Paolo Gentiloni si interroga ancora sul da farsi. Parlare di ‘debolezza politica’ non sarebbe rispettoso nei confronti di chi in questo momento sta ricercando una risposta, ma di fatto si è nel limbo dell’inazione.
E, nell’inazione, emerge solo un dato allarmante: chi attualmente è all’estero non sarà mai tutelato dallo Stato italiano. Perché lo Stato italiano non è nelle condizioni di tutelarlo. Né da vivo, né da morto.

18/11/2013 Roma, un caffè con... Paolo Gentiloni

In tutto questo, fa bene ricordare il profilo professionale del ministro Paolo Gentiloni: ha diretto La Nuova Ecologia, il mensile di Legambiente, dal 1984 al 1992. Poi è portaborse del sindaco di Roma Francesco Rutelli, poi è ministro delle Comunicazioni nel Prodi II, dove ha il notevole record di cannare sia la riforma della legge Gasparri sulle telecomunicazioni, sia quella sulla semiprivatizzazione della Rai. A inizio 2007 propone la legge di registrazione dei siti internet, a maggio 2007 fa dietrofront.
Poi scopre la passione per la politica estera tra Africa e Usa nell’ultima legislatura: una trasformazione coraggiosa e oculata, dato che sul fronte della governance interna non sembra essere stato particolarmente incisivo.

“L’Italia è pronta ad adottare misure tempestive e proporzionate contro l’Egitto” (P. Gentiloni, La Repubblica, 5 aprile 2016)

Magari avrà letto la saga di Ramses di Christian Jacq. Oppure Asterix E Cleopatra di Goscinny e Uderzo. Però ancora di pozione magica pochina. E inserire l’Egitto nella black list della agenzie viaggio non sembra tutta questa gran “misura proporzionata contro l’Egitto.
Siamo a settantatre giorni dalla morte di Giulio Regeni.
“Misure tempestive.
Tic tac.
Tic. Tac.

ARTICOLO 33, CONTRATTO DI MORTE
Forse ci siamo persi un passaggio, che vale la pena di evidenziare per avere un elemento in più quando si vuole darsi al trolling online – etico o meno – parlando della tragedia accaduta a Giulio Regeni.
Il passaggio di cui sopra riguarda l’introduzione dell’articolo 33 all’interno del pacchetto di leggi sulla sicurezza interna approvato dal Governo egiziano lo scorso agosto.

In Italia l’articolo 33 nel contratto nazionale dei giornalisti regola la fine del rapporto lavorativo tra giornalista e editore. In Egitto regola la disciplina penale su chi “riporta informazioni sugli attacchi terroristici in Egitto che contraddicono le versioni ufficiali del governo”: sanzione pecuniaria tra i 26mila e i 66mila dollari, sebbene prima della approvazione definitiva prevedesse fino a due anni di carcere. La discrimine è che è prevista la custodia cautelare in attesa di processo.

Che cosa se ne è fatto della Rivoluzione di gennaio di quattro anni fa? Allo stato attuale delle cose, con il pacchetto di leggi di agosto 2015 in Egitto, nulla. Daesh ha tratto vantaggio guadagnando in appeal sulle componenti più poveri della umma proprio dalle ‘primavere arabe’ e dai conseguenti bagni di sangue che in particolare in Egitto hanno evidenziato tutti i limiti delle rivoluzioni partite su Twitter e poi esplose nelle piazze. Questo ha minato alla vera base i movimenti rivoluzionari, che non hanno avuto reale presa sulle masse, precipitando nell’anarchia totale tanto i vecchi movimenti armati pseudopolitici arabi, resi più deboli da un Occidente molto interessato alle derive democratiche studentesche, quanto le fragili democrazie novelle.

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“Mi lasci essere estremamente franco. In questo momento l’Egitto può essere al sicuro solo con la leadership di al-Sisi: questa è la mia posizione personale e sono orgoglioso dell’amicizia che mi lega a lui. Lo supporterò nel percorso verso la pace perché il Mediterraneo senza l’Egitto è una zona impacificabile” (M. Renzi, Aljazeera, 12 luglio 2015)

Le dichiarazioni del premier sono solo uno dei tanti esempi di frettolosa, debole e obbligata legittimazione di governi mediocri che si asserragliano negli stessi palazzi dei poteri abbattuti solo qualche anno prima per paura dello spettro di Daesh.
E mentre al-Sisi si nasconde dietro tutti gli articoli 33 possibili per allestire la vetrine di un Egitto privo di contestazioni interne ad uso e consumo delle Nazioni unite e il gruppo Ansar Beit al-Maqdis continua a dar manforte alle offensive Daesh sul Sinai – letteralmente disinteressandosi di Israele guardando solo ad ovest –, Giulio Regeni muore come un cane dimenticato dalla mediocrità dei governanti e degli operatori di sicurezza.

Ad ogni articolo 33 corrisponde un ricercatore. Uno studente. Un operatore. Un lavoratore. Un viaggiatore. Un individuo che non è tutelato dallo Stato italiano fuori dallo Stato italiano.
Ma non dovrebbe nemmeno sorprenderci più di tanto: lo Stato italiano non è in grado di tutelare né in vita né in morte un italiano nemmeno su suolo italiano. Chiedere a Ilaria Cucchi pareri in merito. Giusto perché Stefano è inabilitato a rispondere, al momento.

Non è un Paese per giovani.
Non è un Paese per vecchi.
Non è un Paese per chi vuole affrontare il mondo all’estero.
L’Italia non è un Paese per e basta.
E non aiuta nemmeno a vivere negli altri.
Ma in compenso non fa nulla perché si eviti di morire.
La manifesta incapacità dello Stato italiano è diventata un pericolo alla sicurezza dei suoi stessi cittadini. Per tacere dell’inabilità praticamente totale in materia di politica estera che ora par pure irrispettoso definire imbarazzante.

Appendice giornalistica: Carlo Bonini su Repubblica oggi scrive“E, nelle stesse ore, uno dei siti egiziani che aveva rilanciato quanto pubblicato da Repubblica è stato reso irraggiungibile”. Bonini lascia intuire che la notizia sia stata condivisa da più siti di informazione, ma che tra questi solo uno sia stato offuscato. Non citando quale sia. Ma certo non si dimentica una stilettata al Corriere della Sera, che ieri aveva posto interrogativi – vedere capitoletto ALONE IN THE DARK – rispetto alla fonte anonima del quotidiano di via Cristoforo Colombo.
Perché mentre si specula sul cadavere di Regeni, ci sta pure fare a gara a chi lo ha più grosso.

© Gian Piero Travini

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MICHIELIN DA SOLD OUT AL VIDIA

Francesca-Michielin copiaIl Nice To Meet You Tour di Francesca Michielin sbarca a Cesena venerdì 25 marzo al Vidia Rock Club, nel momento migliore per la cantante. Negli ultimi dodici mesi la giovane artista di Bassano del Grappa, vincitrice della quinta edizione di X-Factor nell’ormai lontano 2011 (la prima targata Sky), ha ottenuto numerosi traguardi: L’Amore Esiste è stato per mesi tra i singoli più trasmessi in radio, le successive Lontano e Battito Di Ciglia sono piaciute moltissimo sia alla critica che al pubblico, il tour acustico seguito all’uscita del suo secondo album ‘#di20’ è stato un successo e il secondo posto all’ultimo Festival di Sanremo con Nessun Grado di Separazione è stata la ciliegina finale di un anno pieno di soddisfazioni.

LE SCOMMESSE DEL VIDIA
Questa seconda parte del Nice To Meet You Tour, cominciata il 12 marzo a Roncade, sta facendo registrare il sold out in tutti i suoi appuntamenti: difficilmente il Vidia non risponderà a questo appello, collezionando il quinto pieno stagionale dopo Vinicio Capossela, la doppia dei Negrita e Michele Bravi, attendendo la data zero di Malika Ayane, altro tutto esaurito, e la vera scommessa Salmo. Insomma, è caccia ai biglietti per Michielin.

LA SCALETTAUnknown
Battito Di Ciglia
Io Sono Con Te
Distratto
Tutto Questo Vento
Be My Husband (cover di Nina Simone)
Un Cuore In Due
Honey Sun
Wonderwall (cover degli Oasis)
L’Amore Esiste
Tanto3 (cover di Jovanotti)
(Tutto È) Magnifico
Nice To Meet You
Summertime Sadness (cover di Lana Del Rey)
Lontano
Nessun Grado Di Separazione
Va notato che nella setlist manca I Wonder About You, versione originale di Distratto, il pezzo che Elisa le aveva scritto come inedito per X-Factor, presente invece nella prima parte del tour, quella dello scorso autunno. Speriamo comunque di poterla sentire anche qui a Cesena, magari in un bis fuori programma.

EUROVISION SONG CONTEST
Al termine del tour per Michielin comincerà un altro periodo alquanto intenso che la vedrà impegnata come rappresentante italiana all’Eurovision Song Contest di Stoccolma il 14 maggio, dove riproporrà una versione riveduta e corretta del suo pezzo sanremese, intitolata No Degree Of Separation, con versi in italiano e ritornello in inglese. Prima dell’Eurovision Francesca sarà impegnata il 17 aprile al London Eurovision Party, concerto londinese che la vedrà partecipare assieme ad altri artisti europei, tutti candidati come lei alla vittoria del più importante evento canoro continentale. La Michielin è la seconda artista italiana ad essere invitata a questa venue, dopo Raphael Gualazzi nel 2011.

INTERPOP
La sua scelta di legarsi ai trend del pop internazionale (Lontano e Battito Di Ciglia ricordano moltissimo lo stile dell’artista neozelandese Lorde, quella di Royals) e di allontanarsi dalla tradizionale musica leggera italiana – a differenza di buona parte delle artiste come lei uscite dai talent show –, la rendono abbastanza unica nel panorama canoro italiano, interessante anche per chi non ha mai potuto soffrire le varie Emma, Annalisa, Chiara e compagnia bella.

© Fabio Cristi

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IL PAVONE REALE

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64 Slices Of American Cheese | Il Pavone Reale
Go Down Records/Goodfellas, 2016

#inunaparola: Polymoogoso

Io non so cosa succede mentre ascolto questo album, ma so che attorno a 2.32 di Theo Dei 64
… no. Dall’inizio.
Il nuovo dei 64 Slices Of American Cheese da Cesena, che da ora in poi chiamerò 64SOAC, parte con 1’55” di saw. Non l’Enigmista. No. Di onda a dente di sega. Come se fosse la Sigla di OK. Non Computer, ma Il Prezzo È Giusto. Insomma, per una volta non sono soldi buttati nel cesso. I vostri: l’ultimo CD che ho comprato inedito è stato ‘The Power To Believe’ dei King Crimson.Senza titolo-2.jpg

Il Pavone Reale. Non so perché. Non credo di volerlo chiedere a Filippo Bianchi. Non vorrei che poi volesse comprarmi la mia Parker. E poi la rivendesse su Mercatino Musicale punto com. Non vorrei.
Ma. Glielo chiedo. Dice che me lo vuole dire di persona sabato al Sidro. Perché sabato suonano al Sidro. Sabato. Al Sidro. Poi mi viene incontro pietoso perché sa che il sabato io vivo solo per il Cesena e le conseguenze del Cesena nella mia vita e mi manda questa foto qua a fianco. “Questo è il pavone reale” mi dice. Intanto il Cesena ha perso contro il Lanciano. E penso alle mie conseguenze nella vita e alle sue. E improvvisamente mi sento meno solo.

Ricordo ‘S/t’, il loro precedente e primo album. Non chiedete quando è uscito: cercatelo, fate il conto degli anni e poi chiedetevi perché io mi senta schifosamente vecchio.

Hanno messo Piedons Mmmigo dove riprendono la vena folk romagnola – prego, inserire solito riferimento qualsiasi ai Mazapegul –  alla 3 (per la 2 bisogna aspettare la fine della rece), ma poi hanno sovrastato il tutto con distorsioni e sinth tamarro, zittendo tutto con finale da balera triste clarinettato, di quelli che nemmeno la cinquantenne imparruccata del Kursaal Lido te la dà, e poi parte New York New York. Ah, a proposito di tamarri… in ‘S/t’ si chiamavano The 64SOAC… con la “The”. Loro fanno finta che uno non se ne ricordi di quanto erano sfigatissimi con la “The”, ma io ricordo. Thericordo. Thegiornalista.

Poi c’è Balboa, che è un riassunto dell’album, e una tipica canzone alla 64SOAC, senza “The”: dentro ci trovi tutte le loro anime, anche quella indie, che per dieci-venti secondi mi fa venir voglia di darmi fuoco all’anima, ma attorno ai 2’58” si trasformano nei primissimi Mars Volta per circa mezzo minuto ed ecco che mi chiedo che cosa succederebbe se facessero solo musica così prima di depredare nuovamente la noia dei Mogwai. Che è chiaro che lo fanno anche per le fighe depresse, ma anche no, su.

La 5 è l’omaggio ai Calibro 35 che non manca mai: L’Oliva Taggiasca, che non è il pezzo più brillanti della cosa, ma sicuramente è quello che piacerà di più. La spiegazione è la subordinata della frase precedente. Poi improvvisamente ho una allucinazione retroattiva. Ritorno attorno al 20” della canzone. Star Wars – Main Title di John Williams che chiude in minore. Nerd scoppiati…

Olimpiadi è quella veloce con il richiamino oldie e il finale alla Morphine tanto che pure all’inizio di Oooh Gradari gioca a far finta di essere Dana Colley col sax, con risultati sorprendenti.

Con Terminator si ritorna al post rock, con la own version del tema del film di James Cameron: qui io ho poco da dire, se non che se avessero cassato tutti i primi 4′ di canzone avrebbero cavato fuori con quel giro di arpeggiatore in valzerino veloce un vero gioiellino, con richiamo finale al sequel, tanto per non perdere il contatto con la passione per le colonne sonore.

Sigla, ancora, è la degna chiosa di un album assurdo per i suoni e le strumentazioni utilizzate, che suona inizialmente come se fosse un sogno bagnato dei Van Halen, passa per le buratelle romagnole e punta hard un po’ quanto pare a lui, con spruzzate di canadese depresso che sennò mica ce li vogliono al Bronson o giù di lì.

E si torna alla 2. Theo Dei 64. Parte che sembra una roba da Zen Circus, ma c’è tutto quel polymoog che è praticamente una barzelletta… una barzelletta di quelle raccontate tutti insieme, in compagnia, mentre si cresce e si cerca di non perdersi di vista. Ma questo succede. E mentre la batteria dietro continua più indiependente che mai, a 2’08” Bianchi compie il miracolo e azzecca il miglior bridge di chitarra che io abbia mai sentito tra Cesena e dintorni, che mi riporta ai film di John Hughes, ai miei anni ’90 che però erano molto so 80’s… con i Goonies, con i film di Matthew Broderick, con Stand By Me – Ricordo Di Un’Estate… con qualcosa che non ritornerà più e che mi fa scendere una lacrima nostaglica che capita solo con Kappler degli Offlaga Disco Pax. Theo Dei 64 parla di Commodore mentre LOADING e aspettiamo di poter scrivere RUN, parla di quello che ho vissuto quando le cose erano molto più semplici, di quando mi sentivo protetto, di quando essere solo non importava perché avevo tutti i Fantastici 4 di Byrne da scoprire. Theo Dei 64 è la canzone di un’infanzia che era mia solo perché mio fratello maggiore che la pilotava con Ladyhawke. E a 2’32” posso anche provare a trattenermi ma non ce la faccio, perché il muro che è riuscito a costruire sotto, semplice ed armonico mi travolge completamente.
E prego che sia così ogni volta che la ascolterò.

Ho receraccontato Il Pavone Reale, dei 64 Slices Of American Cheese.

© Gian Piero Travini

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ROCKESTRA IN’ 1000

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Orchestra di 1000 elementi all’Orogel Stadium-Dino Manuzzi e band disposte a suonare con loro: la serata di musica perfetta a Cesena, impossibile da concepire fino allo scorso novembre sta per arrivare in città, il prossimo luglio.
Ovviamente opera di Fabio Zaffagnini e del suo staff di Rockin’ 1000: quello del front office e quello del back office.

FULL ROCK ALCHEMIST
Fabio Zaffagnini è il nuovo alchimista: la pietra filosofale del Rockin’ 1000 trasforma in oro tutto ciò che tocca. Talk da 30 dollari a seat in Usa, interventi da 100 euro a poltroncina in Italia, fisso ai TEDx, un algoritmo su YouTube che a quasi 30 milioni di visualizzazioni dovrebbe restituire circa 210mila euro lordi di ritorno pubblicitario – grosso modo 7 euro ogni 1000 visualizzazioni –… riesce pure a farsi dare l’Orogel Stadium-Dino Manuzzi per organizzare un evento musicale.
‘Fabiulos’ quando lo scorso luglio ha finalizzato con il Rockin’1000 al Parco Ippodromo il lavoro di un anno di public relations tra Milano e Roma, implementandolo poi con la comunicazione online densa di romanticismo, colpendo la band giusta e ‘forzandola’ nella maniera più immediata ad esporsi, riportando dopo anni i Foo Fighters a Cesena, ha compiuto l’impresa. Dando forse nuova linfa allo spirito musicale di una città che da troppi anni viene snobbata dalle rockstar, vincolata da concerti più per la terza età che per altri.

Che poteva essere molto, molto più grande se tutto fosse andato come voleva: megatendone con quattro palchi all’Ippodromo e i Foos in concerto con i 1000 – magari in formazione ridotta a 500 o 250 –, organizzazione interamente adSenza titolo-1 appannaggio dei ‘millini’ e autoproduzione, 130mila euro di budget per l’operazione… insomma, aggiungere al capolavoro di comunicazione un capolavoro di produzione. Purtroppo serviva un terzo capolavoro, questa volta diplomatico, con il management di Live Nation che non è andato a buon fine, ma tanta roba comunque.
Quello che è importante di ciò che non è riuscito è il concept: i 1000 che suonano con la band invitata. Da questa idea, per nulla accantonata, nasce il ‘nuovo’ Rockin’1000.

ALLA BATTAGLIA!
Le forze messe in campo da Zaffagnini sono ben definite. Alle spalle ha l’organizzazione del Teatro Verdi, pronta a supportare anche tecnicamente la riuscita dell’evento, tanto che qualcuno si sarebbe lamentato con più entità ed enti del fatto che lo scorso novembre Live Nation avesse chiamato Libero Cola per organizzare il live del Carisport. A loro si deve aggiungere lo staff Rockin’1000, con in testa Valentina Balzani, braccio destro di Francesca Amadori: loro sono stati la vera arma in più per Fabio durante il passato autunno. Ultimo acquisto della passata stagione Mariagrazia Canu, ex addetto stampa del Robot Bologna, passata relativamente indenne dalla tempesta finanziaria che ha investito l’organizzazione del festival di musica elettronica bolonneise, quelli dei 10 euro a giornalista per ottenere l’accredito stampa… a volte, il karma…
Per la produzione dovrebbe essere riconfermato Andrea Pontiroli di Santeria-Magnolia Milano, un altro che ha creato dal nulla un evento come Milano Libera Tutti e che gestisce pure Godzillamarket, booking con qualche ‘nome’ serio tipo Ministri, Le Luci Della Centrale Elettrica e Mondomarcio.
Il backoffice è composto dai finanziatori che hanno creduto subito in Fabio, sia locali – entourage del Teatro Verdi in testa con Rossi-Comandini-Di Placido, e non è un caso se il chief della parte suoni di Rockin’1000 sia Cisko Ridolfini, ingegnere del suono al ‘Teatrone’ –, Romagna Iniziative e Comune di Cesena, piaccia o meno ai detrattori delle iniziative culturali; sia nazionali, con Heineken in testa da subito… e difficilmente per questa iniziativa mancherà Red Bull: Zaffagnini potrebbe essere una possibile testa di ponte per sbarcare in Usa con il settore organizzazione eventi e andare a fare concorrenza ai brand paralleli Budweiser e Monster.

FABIO ZAFFAGNINI, IL DREAMMAKER
Il mezzo-passo falso mediatico della cover di Saint Cecilia dei Foos in risposta alla frase di Chris Martin sulla morte del rock  va archiviato: sia chiaro che la riposta per certificare lo stato in vita del rock non può essere una cover messa su YouTube tipo • S I S T I A N A • oppure AppleLets o altri vlogger musicali, e le 80mila visualizzazioni in due mesi non mentono: pochine.

Si parlava qualche tempo fa di un Rockin’ 2000 puntando su a richiamare un’altra band spesso pronta ad operazioni simpatia avendo un frontman che si è costruito l’immagine di saggio guru easygoing coccoloso: Eddie Vedder dei Pearl Jam, altro idolo alla Dave Grohl col dono dell’ubiquità, in bilico tra santità e paraculaggine.
Poi più volte Fabio ha sognato l’America, e allora Rockin’ 10000 avrebbe ottenuto un riscontro ancora più grande della scorsa stagione. E Fabio il pallino del diventare promoter in maniera non convenzionale lo ha sempre avuto sin dai tempi di Fabiulosoentertainment, quando nel 2008 provava a portare in giro per concerti chi non trovava compagnia per andarci. E nell’epoca del click basta un video ben fatto e un investimento solido alle spalle per mettere in moto il consenso e la macchina del mercato: i sogni si realizzano se ci si crede e se ci si fa credere. E a Cesena di credito ce n’è parecchio, anche per pensare l’impensabile. E per potersi rinnovare, cosa non da poco.
Perché se di fatto il progetto alle spalle di Fabio era quello di creare uno staff di persone in grado di creare eventi di qualsiasi tipo a Cesena– esempio il TEDx al Verdi del 9 aprile prossimo –, quello di Fabio è di inserirsi nell’unico mercato rockin1000-foo-fighters copiadell’entertainment veramente redditizio, quello del live, saltando la gavetta del concertino nel locale e passando direttamente tra i pro. Come effettivamente è riuscito a fare con appena un anno di pierraggio e l’organizzazione di un concerto per una cover band, completamente gratuito, con soldi in fin dei conti nemmeno suoi, regalando un sogno da lui stesso costruito.
Fabio Zaffagnini, il dreammaker.

1000+BAND… TOCCA AI NEGRITA?
E allora non dovrebbe essere casuale l’incontro che Fabio avrebbe tenuto lunedì 29 febbraio scorso al Vidia Rock Club prima della seconda data sold out dei Negrita nel locale di San Vittore di Cesena. Assieme ai vertici Heineken, supporter della band toscana ma romagnola per ben più che motivi di ‘adozione’ artistica, Pau e company hanno ascoltato le idee di ‘NegritaFabulos’ in merito al suo nuovo Rockin’ 1000 con un certo entusiasmo: la band non ha mai nascosto la passione per il grunge e la costola rock successiva e il parallelo con
i Foo Fighters – sia chiaro, mi sanguinano gli occhi a leggerlo mentre lo sto scrivendo – in salsa italiana potrebbe pure reggere. Che siano loro la band che suonerà con l’orchestra dei 1000?
Da capire se sarà ancora Sabiu a dirigerli, da capire quante saranno le band coinvolte. Un suggerimento: se tra le band ci fossero anche i Lennon Kelly – per fare un nome locale con respiro internazionale e una certa fama nella Penisola –, male non farebbe allo spirito d’aggregazione della comunità. Tra l’altro i ragazzacci han pure suonato al Knust di Hamburg per il gemellaggio tra tifoseria del St. Pauli e del Celtic, quindi sono abituati alle venue ‘calcistiche’.

MICA FACILE ALLO STADIO. MICA FACILE PER GLI ALTRI
Lo stadio di Cesena è stato sistematicamente aggiornato e concepito nel corso del tempo per scoraggiare eventi musicali, nonostante un’acustica altamente performizzante che lo inserisce nella top three di possibili date zero di artisti come Vasco Rossi e Ligabue. La natura tecnica dell’impianto non offre grossi margini per il trasporto delle impalcature all’interno, facendo levitare i costi di organizzazione a livelli inimmaginabili per la portata di pubblico, che si aggira attorno ai 23mila spettatori. Quindi stiamo parlando di un evento ancora più complesso di quanto già non sarebbe in condizioni normali. L’ultima volta fu a fine settembre del 2009, Gianna Nannini in chiusura della megaconvention dell’Unipol. Il fondo del ‘Manuzzi’ poi, in sintetico, non aiuta.
Se la prima operazione Rockin’ 1000 era puntata sul richiamo dei social e sulla viralità – specialità del Fabuloso di Fusignano –, qua si tratta di un’operazione di mera organizzazione e produzione, campo su cui non c’è stato un vero test. E se c’è stato, ha mostrato essere un’incrinatura più che un punto di forza.
Insomma, il Comune è stato molto chiaro nel supportare anche questa volta Fabio, come anticipato da Iacopo Baiardi del Corriere Romagna martedì scorso, mostrando lungimiranza e coraggio notevoli, ma le tempistiche, come da tradizione, sono strette, e serve l’investimento della città intera. Ovviamente non scordandosi che a parte il richiamo che ormai il nome del brand porta online per Cesena, ci sono altre realtà musicali che fanno grande la nostra città, a partire da acieloaperto.
Realtà di cui non bisogna scordarsi mai. Nemmeno a fronte di 1000 musicisti, diverse band e una venue da 23mila persone. Realtà che con anni di gavetta alle spalle hanno portato anche 100mila persone in due giorni a settembre 2010 per il Woodstock 5 Stelle al Parco Ippodromo, dove peraltro potrebbe essere interessante spostare nuovamente la manifestazione, un po’ come un anno fa, che sarebbe una suggestione romantica, una possibilità di mettere ancora più persone, per un compleanno da favola. O all’Ippodromo direttamente, che poteva essere la sede adatta a novembre già per il concerto dei Foos, almeno nella vision di Zaffagnini.
Ma se fosse lo stadio, chissà che non si possa fare il nuovo Rockin’ 1000 in concomitanza con il Picnic Bianconero
Stadio_Manuzzi_Cesena_2004

© Gian Piero Travini

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