Penso Pilates

Qualche mese fa ascolto Canyon Della Coscienza, Deserto Della Mente, Oasi Dell’Anima. È una canzone dei Ponzio Pilates. I Ponzio Pilates, che sono una mucchia di sbarbi strafatta di giandella bellariese: li ho incrociati al WAVE poco prima. Passavo, quella sera. Sentivo cose. Ho visto gente ballare. Non c’era criterio in quello che ascoltavo. È volato un: “Poveri stronzi” “Porelli” con annessa breve considerazione sulla sindrome San Carlo-Kelly – quella malattia che colpisce gli ascoltatori e che amplifica i loro feelz quando una band si muove bene sul palco, a prescindere dalle note suonate -, sono andato via: suoni sballati, abiduga-tour-ponzio-pilates-in-concerto_202576troppa gente sul palco per quello che veniva suonato, cantato autoreferenziale e ridicolo. Tanti errori, troppi errori. E l’odore della ganja nel 2016 è come la visione della mia faccia allo specchio: mi ha definitivamente stomacato.

Però, ecco, qualcosa mi gira in testa. Qualcosa che, zio ladro, ho già sentito. E non dai Calexico o dagli Os Mutantes – oh, fateci caso… il 90% di chi cita gli Os Mutantes ha ascoltato al massimo Bat Macuba, ma degli album non si ricorda mai un cazzo, perché semplicemente sono insfangabili se non hai fatto le orecchie ad altri suoni, e non basta Tropicalia di Beck o un best del periodo calypso di Quantic djset del sempre sul pezzo Flamingo -… no no. Mi ricordano dei suoni già sentiti… Forse è tutto nella mia testa, ma persiste, tanto che mentre torno a casa ripenso ad alcuni movimenti del tizio che suona uno strumento a corde: lui mi sa che è pure quello dei R-Amen, che erano quelli che stavano per essere scomu-NOIA; lei è la tizia dei Bomboloni, sono tutta gente con side 0007475482_10project che suona in continuazione e che dio mio, valesse qualcos-… Fermi tutti. Mi si illumina il mondo. Provo diverse accordature, le suono a casa. Ripenso a quello che faceva il tizio alla tastiera. Quello che a una certa si veste da fiore. Epperò se ti vesti da fiore ma non canti Supper’s Ready dei Genesis sei proprio un philcollins qualunque. Epperò no. No perché mi stanno girando in testa da troppo.
Quindi cerco roba su internet.
Ci metto un po’.
Non mi piace fare i complimenti agli sbarbi. Quindi ci metto volutamente un po’.

E, appunto, qualche mese fa ascolto Canyon Del Diobò e bla bla. Scrivono che sia un’improvvisazione a Bologna. Forse in via Goito? Forse passavo da lì? So chi ci abita da quelle parti, so fino a quando fingevamo che ci fosse qualcosa di diverso da mutuo soccorso, so che è possibile che io passassi da lì. E il risultato è che senza voce questi sono dei musicisti della Madonna. O della Maria. O della Marija.
Roba vera. Musica. Con criterio, anche in improvvisazione. Molte cose le riprendono in Nigolas, la penultima canzone del loro EP Abiduga, uscito lo scorso giugno, fortuna per loro. Solo che poi cantano. a0558862372_10E allora capisco: qua devo far finta che non cantino, sennò mentre loro scopanoladroga a me saleilBataclan. E se non penso al fatto che usino la voce per fare un passo successivo di nonsense che ancora non trovo ben sviluppato, perché anche il nonsense può acquisire un gusto pop rimanendo comunque per pochi, beh… Abiduga è un EP incredibile. Zampa è finita direttamente nella mia top ten estiva, con un retrogusto Budos Band quel tanto che basta per mantenere una chiara volontà di rimanere nel proprio, una eco da Tito & Tarantula e tutto quel synth che mi stura anche l’anima.

Io ora non voglio dire che questi siano la miglior band in circolazione. Ci stanno i 64 Slices Of American Cheese… i Pater Nembrot… i Morning… ma i Pilates, rispetto all’età che hanno, rischiano di dare il giro a tutti a livello di show, di creatività, di musicalità, di spingersi un passo oltre. Mi è sembrato di intravedere qualcosa di folle, meraviglioso, istintivo, marcio e drogatissimo che mi ha rimandato ai primi set dei Red Hot Chili Peppers o al cazzeggio dei Madness.
Tagliando le cazzate tardoadolescenziali, le battute chiusin chiusine e i riferimenti al gruppo di amici, il fatto che facciano presente ogni due per tre che si sballino come se avesse ancora un significato sociale che ormai se non tiri giù cani dai licei per questioni dispacciobbrutto non conti un cazzo, le grafiche vapor… beh, al netto del cazzeggio questi qui spaccano. E se inizieranno a guardare al di sopra della stagnola dell’eroina del rotolo di kebab, spaccheranno anche fuori dal sabbione del Beky dove si esibiranno stasera.

Che poi, faccio delle gran pugnette sui testi, e mi ritrovo a cantare Algeri in macchina…

© Gian Piero Travini

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